Pagina:Sotto il velame.djvu/289

Da Wikisource.

le rovine e il gran veglio 267

esclamazione che prorompe avanti il supplizio dei simoniaci? Chi non dirà che Dante abbia voluto riconoscere un’arte, dirò così, speciale della somma Sapienza nella giustizia che si fa di quelli che corruppero l’intelletto, o solo o con le altre potenze dell’anima?

Chè un elemento nuovo si scorge in questi peccatori ultimi: la vergogna. Già in Farinata e Cavalcante si può osservare una sollecitudine per i vivi; per i suoi sbandati, in Farinata, per il figlio, alto d’ingegno, in Cavalcante; che è infinitamente tormentosa per chi giace in tal letto ed è chiuso in tal sepolcro. Non è l’intelletto, il quale nonostante la sua umana eccellenza fu così vano nel dolce mondo; e che ora li tormenta laggiù? Ed è certo l’intelletto che da Malebolge al fondo del basso inferno, aumenta il cruccio dei dannati; come enunzia Virgilio con quel verso che pare ad alcuni un riempitivo:1

               La frode ond’ogni coscienza è morsa;

e invece echeggia all’altro “frode è dell’uom proprio male„, come effetto a causa. Nella reità degli altri peccatori è la pervicacia stolida, come in Capaneo; l’incoscienza animalesca prodotta da un abito che più non si depone, come nei fangosi, e negli avari, e anche nei rei della colpa della gola; il dolore acuto di chi vinto da un punto, smarrì la ragione, come in Francesca: nei fraudolenti è la vergogna.

  1. Inf. XI 52, 25. Per es. il Tommaseo spiega: «Intendi, o che la frode è tal vizio che le coscienze più dure n’hanno rimorso, o che Virgilio voglia rimproverare i contemporanei di Dante come i più macchiati di frode».