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310 sotto il velame

per irrigare le piante novelle,1 acque di “emulazione„ fervide per cuocere gli affetti nostri; dolci quelle per amare la giustizia, bollenti queste per odiar l’iniquità. Che tutti questi concetti Dante assommi nello Eunoè, vedesi dal fatto che a Eunoè beve, che il bere è dolce e ravviva le virtù, e più da ciò che colui che beve ritorna dall’onda come se fosse stato irrigato:2

                                      come piante novelle
               rinnovellate di novella fronda.

Il fiume di lagrime deriva da una fessura del gran veglio. Il Letè va al centro della terra, per una buca “ch’egli ha roso„. Per questa buca Dante e Virgilio escono dalla tomba del peccato “a riveder le stelle„.3 La fessura della statua e il foro del sasso hanno relazione tra loro, come l’Acheronte e il Letè. In verità v’hanno i fori nella pietra, che s’interpretano per le piaghe del Cristo: chè pietra è il Cristo.4 Sono buoni fori, quelli, che ci dànno la fede della risurrezione. Da quei fori sgorga la misericordia: per quelle fessure (rimas) possiamo suggere il miel dalla pietra e l’olio dal sasso durissimo. Di più, il Cristo ci introdusse “in sancta„ per quei fori aperti. Per il foro di Letè, sale Dante

  1. Tertius acquarum usus est irrigatio, quam profecto maxime necessariam habent novellae plantationes. Bern. l. c.
  2. Purg. XXXIII 148 seg.
  3. Inf. XXXIV 127 seg.
  4. D. Bern. Super cantica Sermo 61. Alius hunc locum (columba mea in foraminibus petrae) ita esposuit, foramina petrae vulnera Christi interpretans. Recte omnino, nam pietra Christus. Bona foramina, quae fidem astruunt resurrectionis et Christi divinitatis.