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388 sotto il velame

gione speculativa ad apprendere la verità, e a questo medesimo fine il consiglio dirige la ragione pratica.1 In questa dichiarazione il nostro pensiero si ferma in ciò che due doni sono per il giudicar rettamente, che in ciò si travede la ragione dello sdoppiamento fatto dal Poeta, di famelici e assetati di giustizia. Sono, in Dante, questi assetati e famelici, quelli che abbiano mondata la macchia della avarizia e della gola. Or contro l’avarizia e la gola, possono i doni degli spiriti di scienza e di sapienza? Secondo l’ordine sopra designato, sarebbero invece il consiglio e l’intelletto. Può Dante avere mutata la teorica dell’Aquinate?

Può. Invero della sapienza egli pensa diversamente.2 “Nella faccia di costei appaiono cose che mostrano de’ piaceri di Paradiso„: negli occhi e nel riso. “E qui si conviene sapere che gli occhi della sapienzia sono le sue dimostrazioni, colle quali si vede la verità certissimamente; e il suo riso sono le sue persuasioni, nelle quali si dimostra la luce interiore della sapienzia sotto alcuno velamento: e in queste due si sente quel piacere altissimo di beatitudine, il quale è massimo bene in Paradiso. Questo piacere in altra cosa di quaggiù esser non può, se non nel guardare in questi occhi e in questo riso„. Qui è la sapienza che consiste nel veder la verità, e la sapienza che è suprema beatitudine. Per limitarci, ricordiamo che l’ultima beatitudine è per Dante la mondizia del cuore, perchè promette e permette la divina visione; ricordiamo che “lo dolce Padre„ mentre Dante attraversava il fuoco, per confortarlo 3

  1. Summa 1a 2ae 68, 4.
  2. Conv. III 15.
  3. Purg. XXVII 52 segg.