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416 sotto il velame

può passare l’irremeabile Acheronte. L’uno e l’altro che egli passasse, sarebbe per lui la vita. Di là dell’uno, è il dolce mondo della prima vita mortale; di là dell’altro, il paradiso della seconda vita immortale. E Virgilio, il dolce padre, sparisce e ritorna nelle sue tenebre a desiare senza speranza.

Senza speranza? Eppur la voce di là delle fiamme cantava: Venite, benedicti... Non c’era anche lui con Dante e Stazio? Non benediceva anche lui quella voce? La prima volta, quando fu chiamato da Beatrice, nemmeno quella fiamma egli passò; perchè Beatrice venne a lui attraverso l’incendio che non lo assaliva. Or sì, passa la fiamma; ma avanti i belli occhi sparisce; e la fiumana della misericordia egli non passa, il dolce padre. E non mai? non mai?

A nessun interprete e critico e storico di Dante fu dato di trovare del cuore di lui tale traccia visibile quale a me, che ho seguito riverente la sua ombra per la plaga del mistero. E ineffabile gioia è per me aver trovata questa orma della bontà di Dante; di Dante cui il vulgo, letterato e senza lettere, la nega o non l’asserisce, contento ch’egli sia grande, e magari incestuoso e barattiere, ma grande. Ed ecco l’orma che dico. Il dolce padre, egli non vuole che resti eternamente a desiare senza frutto. Egli afferma che gli spiriti magni e i parvoli innocenti saranno liberi nel gran dì. Egli che si è configurato al Cristo, e che è morto com’esso, e com’esso ha patito, e che è entrato con un tremuoto negli abissi, e dopo trentasei ore ne è risorto, egli, come il Possente, ha tratto dalle tenebre quelli del cerchio superno senza lasciarvene alcuno. In verità egli non