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imperiale; perchè l’imperatore è colui che deve indirizzare al bene l’anima semplicetta del genere umano. Altissimo è questo uffizio che, a noi disavvezzi da certe idee e da certi raziocini, può parere strano e piccolo. Pensiamo. Dante ritiene bensì cancellata col battesimo la macchia originale; ma gli effetti di lei crede estendersi per gran parte dell’età degli uomini e anche per sempre. L’imperatore compie, per lui, il Redentore; e l’autorita imperiale è come la sanzione del battesimo. Senza essa il genere umano è invano redento, e vivrebbe, come avanti Gesù, nel peccato e nella tenebra.

E così ognun vede che se io sono stato, in tale interpretazione, più forse esatto dei miei antecessori, non però sono solo a vedere, piccolo omicciuolo, ciò che gli altri non videro. Siffatta solitudine mi farebbe diffidare d’ogni mio più severo argomentare. Ma no: tutti hanno nella selva veduto o intraveduto il peccato, e il disordine morale e politico, e la perdizione, e la morte. E tuttavia tutto ciò non è se non per il difetto di quella virtù che il battesimo infonde e a cui vedere gli occhi dell’adolescente si serrano immergendosi nel sonno; per il difetto o per l’oscurarsi della prudenza. Or la prudenza è tra le virtù morali virtù precipua, ed è loro conducitrice, come dietro i filosofi afferma Dante: “e senza quella esser non possono„.1 Sicchè nella selva non essendo prudenza, non è alcuna virtu. E così tutti gli interpreti hanno sempre pensato; ma errano se aggiun-

  1. Conv. IV 17. E vedi Summa, passim, per es. 1a 2ae 60, I; 58,3. La prudenza, qual condizione di qualsivoglia virtù, si chiama appunto discrezione.