Pagina:Storia dei Mille.djvu/217

Da Wikisource.

La calata a Palermo 203

impallidire lui, pel sovrumano peso che gli imponeva, accettando l’onore di lasciarsi sacrificare. Egli guardò un poco, poi si tirò dentro ritemprato (lo narrò nelle sue Memorie), «e da quel momento ogni sintomo di timore, di titubanza, d’indecisione» gli sparve.

Il discorso di Garibaldi comparve poi subito stampato sotto forma di Proclama alle cantonate. Diceva così: «Il nemico mi ha proposto un armistizio. Io accettai quelle condizioni che l’umanità dettava di accettare, cioè ritirar le famiglie e i feriti: ma fra le richieste, una ve n’era ingiuriosa per la brava popolazione di Palermo, ed io la rigettai con disprezzo. Il risultato della mia conferenza d’oggi fu dunque di ripigliar le ostilità domani. Io e i miei compagni siamo festanti di poter combattere accanto ai figli dei Vespri una battaglia, che deve infrangere l’ultimo anello di catene con cui fu avvinta questa terra del genio e dell’eroismo.»

Parrà forse dir troppo ma è verità. La sera di quel giorno, proprio come se ricorresse la sua festa di Santa Rosalìa, Palermo si illuminò tutta. Lasciamo stare che i palazzi e le case dei ricchi nelle grandi vie fecero addirittura la luminaria; ma non vi fu casupola per quanto povera e nascosta ne’ vicoli, che non avesse il suo lume a ogni finestra. E la notte passò in cene e canti e fino in danze. Per prepararsi alla ripresa della guerra, se guerra doveva ancora esservi, si avrebbe avuta poi tutta la mattinata appresso.

Ma quando fu mezzodì e i combattenti erano tornati tutti ai loro posti, pronti a ricominciare, fu fatto dire dappertutto che l’armistizio era prolungato di tre giorni. Allora entrò nei cuori che in quanto a Palermo i regi ave-