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La formazione del piccolo esercito 53

sacrificata e per la rassegnata morte sul patibolo. Il colonnello garibaldino era di famiglia palermitana, uomo già di quarantacinque anni, ufficiale dell’artiglieria borbonica da giovane, poi affiliato alla Giovane Italia, passato al servizio dell’isola sua nella rivoluzione del ’48, cresciuto con essa, con essa caduto nel ’49. Da quell’anno era vissuto esule negli eserciti di Turchia, salendovi a colonnello dell’arma ne’ cui studi era stato allevato. Venuto il ’59, era tornato in Italia, e adesso era lì a riportar il braccio alla sua Sicilia. Prevalevano nella sua compagnia per numero gli operai, anch’essi però uomini intelligenti, che sapevano bene qual passo avevano fatto: e i più erano toscani, e portavano nomi di nobiltà popolaresca antica.

Per la stessa ragione per cui la seconda compagnia fu chiamata dei livornesi, la terza poteva dirsi dei calabresi perchè di Calabria erano il barone Stocco che la comandava, verde vecchio di cinquantaquattro anni, e Francesco Sprovieri, Stanislao Lamensa, Raffaele Piccoli, Antonio Santelmo suoi ufficiali. V’erano inquadrati degli uomini insigni come Cesare Braico, Vincenzo Caronelli, Domenico Damis, Domenico e Raffaele Mauro fratelli, Nicolò Mignogna, Antonio Plutino, Luigi Miceli; e avvocati e medici e ingegneri, e futuri deputati, senatori, ministri e generali, tutti fra i trentacinque e i cinquant’anni, tutti di Calabria e di Puglia. Pareva la compagnia dei savi!

La quarta toccò a Giuseppe La Masa, siciliano di Trabia, antico all’esilio, già quarantenne. Era un singo-