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Parte II. 61

d’ordigni nelle navi nemiche s’attaccavano a queste per poterle più facilmente scomporre ed offendere. Da un fianco e dall’altro erano sessanta giovani armati da capo a piedi, ed altrettanti intorno agli alberi della nave ed alle antenne caricate di sassi. Nelle gabbie, che lavorate di bronzo erano sul primo albero della nave, stavano tre uomini, e due per cadauna delle altre. A questi nelle gabbie suddette venivano somministrate da alcuni ragazzi in canestri tessuti di vinchi per mezzo delle carrucole e pietre e saette. La nave aveva quattro ancore di legno, ed otto di ferro. Il secondo ed il terzo degli alberi della nave furono con facilità ritrovati, ma il primo assai difficilmente ne’ monti della Brettagna da un porcajo. Filea ingegnere di Taormina fu quegli, che lo ridusse in mare. La sentina poi, benchè profondissima, votavasi da un uomo solo per mezzo della chiocciola da Archimede inventata. Questa nave fu alla prima chiamata Siracusana, ma dappoichè si privò di essa Gerone, chiamossi Alessandrina. Era accompagnata da altre navi minori, e primieramente dal Cercuro, il quale portava di carico tre mila talenti [cioè 187.500 libbre Romane di peso], e movevasi a forza di remi. V’erano pure di seguito altre barchette e battelli pescarecci, che avevano di carico mille e cinquecento talenti. La gente poi niente era minore della già detta, poichè v’erano sulla prora seicento uomini per eseguire ciò, che veniva ordinato. I delitti, che in questa nave facevansi, venivano giudicati dal Condottiere, dal Governatore della nave, e dal Gedotto, secondo le leggi Siracusane. Su queste navi furono caricati sessanta mila moggi di formento, dieci mila orci di salume lavorato in Sicilia, venti mila talenti di carne, ed altrettanti d’altre vettovaglie, ed oltre a ciò v’erano i comestibili per quelli, ch’erano in nave. Ma essendosi informato Gerone, che di tutti i porti della Sicilia altri non erano capaci di questa nave, ed altri erano pericolosi, stabilì di spedirla ad Alessandria in dono al Re Tolomeo, poichè in Egitto era gran penuria di formento, e colà mandolla.

XXII.

Risposta alle difficoltà contro un tal fatto.

Ma il Montucla stima di dover rigettare tralle favole un tale racconto. Que’, che conoscono, dic’egli, quanto gran parte di potenza tolga il fregamento in qualchesiasi macchina, giudicheranno esser questa una finzione. Egli è inoltre un de’ principj della Meccanica, che quanto guadagnasi in forza, altrettanto perdesi in velocità. Quindi se una macchina pone l’uomo in istato di far egli solo ciò, che cento colle naturali lor forze avrebbon fat-