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204 Storia della Letteratura Italiana.

Nec breve, nec tutum est, peccati quæ sit origo
Scribere: tractari vulnera nostra timent145
.
E scrivendo a Messalino, perché da Augusto gli ottenga il perdono:
Num tamen excuses erroris origine factum,
An nihil expediat tale monere, vide:
Vulneris id genus est, quod cum sanabile non sit,
Non contrectari tutius esse puto.
Lingua sile: non est ultra narrabile quidquam;
Posse velim cineres obruere usque meos146
.
Aggiungansi i versi ad Augusto poc’anzi citati:
Nam tanti non sum, renovem ut tua vulnera, Cæsar,
Quem nimio plus est indoluisse semel.

Egli protesta però ad Augusto, che né altri ha esortato all’adulterio, né di tal delitto egli è reo, e che quantunque liberi siano i suoi versi, modesta nondimeno è stata la sua vita.

Sed neque me nuptæ didicerunt furta magistro;
Quodque parum novit, nemo docere potest.
E poco dopo:
Crede mihi: mores distant a carmine nostro:
Vita verecunda est: musa jocosa mea147
.

Non credo già io, che Ovidio fosse così verecondo, come qui si vanta; ed egli stesso in altre sue Poesie troppo diversa immagine di sé stesso ci ha lasciato. Ma a me basta di osservare, che parlando del motivo del suo esilio afferma di non aver commesso delitto alcuno. Confessa nondimeno di aver giustamente meritato lo sdegno di Augusto, di cui loda ancor la clemenza, perché non gli ha tolti i beni e la vita, e il termine più mite di relegazione ha con lui usato (come era infatti), anzi che il più severo di esilio.

Quidquid est, ut non facinus, sic culpa vocanda est:
Omnis at in magnus culpa Deos, scelus est148
.

Questo sentimento medesimo ripete egli spesso; e una volta fralle altre introduce Amore, che a lui favellando, dopo averlo


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