Pagina:Storia della rivoluzione piemontese del 1821 (Santarosa).djvu/104

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Alberto ne rise come di vulgare diceria, più, fissò un’ora del giorno vegnente ai due ministri per occuparsi assieme, e partì invece nella notte, conducendo seco le guardie del corpo, l’artiglieria leggiera, i cavalleggieri di Savoia ed il reggimento Piemonte Reale cavalleria.

Qui comincia il secondo periodo del governo costituzionale: abbandonato da un capo spergiuro, la sua caduta sembrava inevitabile e già ne erano lieti, e vi si fondavano i suoi nemici.

Conosciutasi appena la partenza del principe, il popolo mostrossene abbattuto e scorato. Due vive sensazioni provarono tutti i cuori: ira contro il colpevole, dolore per la causa della piemontese libertà irremissibilmente perduta. Stette per disciogliersi la giunta; la maggior parte dei membri chiesero lor dimissione. Senonchè, minacciati dall’anarchia, il cav. Dalpozzo ad essi ne espose così vivamente i pericoli che osarono ancora tenere una seduta il giorno 22 di marzo, alla quale furono chiamati ad assistere i consiglieri privati del re, ed una deputazione del corpo decurionale della città di Torino1. Dichiararono i primi non aver avuto preventivamente contezza della partenza del principe, ignorararne i motivi, e rifiutatisi di prender parte alle deliberazioni

  1. Amministrano la città di Torino 60 magistrati col titolo di decurioni sotto la presidenza di due sindaci che si rinnovano ogni anno. Codesto corpo organizzato su di antiche forme, anche imperfetto, era tuttavia da preferirsi a certe instituzioni che riducono l’autorità municipale ad esser cieco strumento del governo, ed aveva ognora e con fermezza sostenuto i suoi diritti in faccia a diversi ministri di Vittorio Emanuele.