Pagina:Storia della rivoluzione piemontese del 1821 (Santarosa).djvu/157

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governo costituzionale cui giustizia e moderazione aveano acquistato la stima e l’affetto dei popoli benchè da tante e differenti sventure colpita, resistesse ai suoi nemici, e come ad abbatterla abbisognassero costoro della mano dell’Austria; bisognava infine mostrare come quel cumulo di malaugurate circostanze che stremò di forze lo sfortunato Piemonte, rendesse inutile, impossibile ogni riparo al disastro di Novara.

Ed a tanto io credo essere riuscito con gli uomini di coscienza, con gli onesti e sinceri amici di libertà, che pure la massima e nobilissima parte costituiscono del popolo Europeo. Non mi lusingo ottener giustizia dai nostri nemici, nè men vano io stimo cercar di convincerli della rettitudine e magnanimità di nostre intenzioni; chè non per questo si starebbero dal calunniarci. E come no, se i fatti che a raccontare non trovano è forza loro di tessere? Troppo loro sta a cuore rapirci persin quel rispetto che sacrifizii e sventure han di noi saputo inspirare agli Italiani. Ma non si illudano: niuno dei nostri connazionali vorrà condannarci sulle asserzioni di comune nemico.

Nè ciò solo basta al mio intento: vo’ chiamar gli Italiani a meditare le condizioni del nostro paese, gli errori, le conseguenze della fallita rivoluzione, di quella rivoluzione che dopo secoli fu la prima che si tentasse in Italia senza l’intervento, l’aiuto dello straniero, fu la prima in cui due popoli si rispondessero dall’uno all’altro canto della Penisola. L’intero assoggettamento d’Italia all’Austria ne fu il risultato