Pagina:Storia della rivoluzione piemontese del 1821 (Santarosa).djvu/36

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ingegno per l’intrigo. Ignoro sino a qual punto egli possa colla sua autorità aver influito sulle faccende ecclesiastiche del regno; osserverò soltanto, che in nessun ramo d’amministrazione apparvero commessi sbagli irreparabili, e degni di biasimo come in questo. E senz’addentrarmi in questa materia, che di troppo mi svierebbe dal mio proposito, basti il dire, che dei beni ecclesiastici posseduti dallo Stato, e sufficienti senz’altro a dotare convenevolmente i vescovadi e le parrochie, fu fatta una distribuzione sì poco giudiziosa, da risultarne alcuni vescovi opulenti, ed altri privi del necessario; dimodochè il tesoro reale n’andò gravato da considerevoli somme per supplire alle congrue dei curati di Savoia e dello Stato di Genova e Nizza. Venne ripristinato un certo numero di conventi, ed i più lo furono a danno di qualche stabilimento d’istruzion pubblica, o d’industria; spettacolo abborrito agli occhi della nazione, che ne vide cacciati gli allievi e gli operai, per dar luogo ai frati protetti dalla corte, e le persone colte non provarono che un più forte disgusto per istituzioni, le quali ristabilite con maggiore cautela, e dietro un piano meglio combinato, avrebbero potuto esserlo nel doppio interesse della religione e della società.

Il fin qui detto reputo abbastanza a far conoscere lo stato delle cose nostre in allora; ma il primo giorno dell’anno 1821 rivelò in tutta la loro ampiezza i mali che ancora sovrastavano al Piemonte. I progetti di legislazione, e d’ordine giudiziario, formati sotto il ministero del conte Borgarelli, allo scopo più di eludere, che di appagare i desiderii della nazione, resi