Pagina:Su la pena dei dissipatori.djvu/6

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varietà 283

immaginazioni del poeta; ma non più, chè egli poi dove' lavorare la sua materia liberamente, senz'altra norma o freno, che quello dell'arte.

Altrimenti in che modo potremmo spiegarci il prodigio di un Dante, che, intento a dar veste sensibile alla faticosa serie de' suoi sillogismi, sia riuscito invece a crear scena di così fresca e vivace bellezza, di compiuteza estetica così meravigliosa?

Del resto, lasciando il vago delle affermazioni astratte, gli stessi risultati si possono ricavare dall'esame dell'episodio, che ora mi occupa.

I commentatori, nella lor caccia ostinata dell'allegoria, si impegolano in un viluppo di sottigliezze e di contraddizioni di ogni maniera: perchè non seppero intendere che nell'opera d'un poeta, se anche vi può essere un senso o una ragione generale, le sole ragioni dei particolari son quelle dell'armonia e dell'arte.

Eccoli tutti intenti a trovare, per es., nell'aggetivo graffiati un'allusione alla miseria dei dissipatori, lacerati da infamie e vergogne e vituperî; cioè dalle cagne, cadendo così nell'inverisimiglianza di ammettere che le cagne, raggiunta la preda, la graffino, invece di sbranarla. Mentre la ragione evidentissima sta in ciò che la pelle nuda di un uomo, che corre a precipizio per una selva, deve stracciarsi agli sterpi ed ai pruni.

Così si dica della frase «della selva rompièno ogni rosta», su cui tanto si è fantasticato, incorrendo o in sottigliezze risibili (che i dissipatori si discolpino infamando i suicidi) o in confusioni grossolane (la selva, fatta dai corpi dei suicidi, si trasforma negli ostacoli che occorrono al debitore fuggente). La ragione è che, nella selva folta e selvaggia, la corsa non poteva non essere impedita dagli intrichi dei sarmenti e dei rami.

In ambedue i luoghi la sola spiegazione si deve trarre dalla finitezza perfetta, con cui Dante ci sa precisare tutte le sue imagini. Ragione d'arte dunque: non altro. Nè meno notabile è, nello stesso genere, l'abbaglio di chi pensa, che le cagne siano i cacciatori parassiti, che per tal modo tramutati «seguitano divorando li lor signori», dal che seguirebbe, tra l'altro, che nella selva sien puniti solo quelli, che dissiparono l'aver loro nelle cacce.

Non m'indugio su l'assurdo di chi volle vedere nei caratteri delle cagne (nere bramose...) una, sto per dire, proiezione materializzata dell'effetto ch'esse, allegoricamente intese, producono