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CAPITOLO XIII.


Ore d’angoscia.


In riva allo stagno, alla destra degli avventurieri, sorgeva infatti una roccia, non di dimensioni gigantesche, ma sufficientemente larga verso la sua cima per dar asilo ai quattro uomini.

Se la piena continuava, quella roccia doveva essere l’ultima a venire sommersa, quindi i quattro fuggiaschi e la fanciulla indiana potevano avere ancora qualche speranza di salvare la pelle, come aveva già detto John.

Caricatisi dei loro sacchi da viaggio e delle armi, attraversarono quattro o cinque profonde spaccature, in fondo alle quali gorgogliava dell’acqua più nera dell’inchiostro e si misero a scalare frettolosamente la rupe, aiutandosi l’un l’altro, poichè era abbastanza ripida.

Come l’indian-agent aveva supposto, la cima che pareva fosse stata violentemente mozzata dalla scure di qualche titano, toccava quasi la volta della caverna ed era abbastanza larga per contenerli tutt’e cinque, quantunque un po’ a disagio.

— Ecco il nostro campo — disse Harry, il quale non aveva perduto totalmente il suo buonumore. — Che peccato non poter fumare nè accendere un po’ di fuoco per asciugarci!

— Ed arrostire il famoso zampone d’orso che non vedo più pendere dalle spalle di tuo fratello — aggiunse John.

— L’ho lasciato andare durante la traversata del Mar Morto — rispose il giovane scorridore. — Nessuno l’avrebbe mangiato crudo, quindi era inutile conservarlo.

— Avete commesso una grave imprudenza — disse Nuvola Rossa. — Quando la fame tenaglia lo stomaco anche la carne cruda non è da disprezzarsi.

Sapete bene che non abbiamo cenato, nè fatto colazione!

— Non ho avuto finora il tempo di accorgermene; e poi, se credete, potete andar a cercare lo zampone in fondo al Mar Morto.

Non ci saranno qui dei caimani e potreste forse ancora ritrovarlo. —

Il capo dei Corvi fece una smorfia senza aggiungere sillaba e si strinse al fianco Minnehaha, la quale tremava pel freddo e batteva,