Pagina:Tigre Reale.djvu/180

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camera avea una fisionomia onesta; l’aria sembrava circolarvi pura e libera, fra quel gran letto bianco, quella culla color celeste, quei mobili semplicissimi - avea un che d’augusto. Giorgio vi entrava sempre come fosse in chiesa, e stava dinanzi alla moglie, di cui istintivamente indovinava i dolori e le ripugnanze che egli doveva ispirarle, con una cortesia affettuosa in fondo, ma che sembrava glaciale. Poi, in quella gran camera silenziosa e tranquilla si sentiva un gran bene, sembravagli che il sangue gli si rinfrescasse nelle vene, e l’immagine fosca e fatale di quella moribonda, di quell’amore spaventoso, non osava inseguirlo sin là. Colà egli si riposava, e se l’avesse osato avrebbe domandato alla moglie il permesso di fargli dormire un sonno senza incubi in quella grande poltrona ai piedi del letto. Sentiva un gran rispetto, una gran gratitudine, una gran tenerezza per la madre di suo figlio che era costretto a trattare in quel modo, per la donna che portava così immacolatamente il nome suo; l’ammirava come una natura superiore, parevagli impossibile che tanta serenità,