Pagina:Tigre Reale.djvu/93

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L’orologio sullo scrittoio suonava gli ultimi rintocchi delle ore che Giorgio non aveva udito; il vento faceva piegare la fiammella della candela; ei si accorse allora che la finestra era aperta. La via era silenziosa e deserta, in alto, al di sopra dei tetti che confondevansi vagamente nell’ombra, formicolavano delle stelle. La Ferlita stette qualche tempo alla finestra, assorto, senza sapere quel che stesse pensando; le ore suonavano a tutti gli orologi della città con toni diversi; di tanto in tanto si levava in mezzo al silenzio il fischio della stazione di Santa Maria Novella; l’unico pensiero, di cui egli avesse una percezione distinta, era che giammai avea creduto ci fossero tanti orologi a Firenze. Finalmente uscì, e andò nel viale Principe Amedeo senza sapere egli stesso perchè. Il villino avea la consueta fisionomia. Qualche volta La Ferlita s’era trovato a passare a notte avanzata dinanzi a quelle finestre — allora se ne ricordava — e avea visto così quella casa, colla sua facciata biancastra