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118 ultime lettere d’jacopo ortis.

ciocca de’ suoi, e gli annodò insieme col nastro nero che portava attaccato all’oriuolo; e rimise il quadretto a suo posto. Poche ore dopo la madre sua vide il verso aggiunto; s’avvide anche della treccia, e della ciocca e del nodo nero, ch’ei forse disavvedutamente o per fretta non aveva potuto rimpiattare che non paresse. Il dì seguente me ne parlò: ed io vidi come questo accidente le aveva prostrato il coraggio con che dianzi essa avea sostenuta la partenza del suo figliuolo.

Onde per acquetarla mi deliberai di accompagnarlo sino ad Ancona; e promisi che le scriverei giornalmente. Esso frattanto tornavasi a Padova, e smontò in casa del professore C***, dove riposò il resto della notte. La mattina accomiatandosi, gli furono dal professore esibite lettere per alcuni gentiluomini delle isole già Venete, i quali nel tempo addietro gli erano stati discepoli. Jacopo nè le accettò, nè le rifiutò. Tornò a piedi a’ colli Euganei, e ricominciò a scrivere.


venerdì, ore 1.

E tu, Lorenzo mio — leale e unico amico — perdona. Non ti raccomando mia madre; ben so che avrà in te un altro figliuolo. O madre mia! ma tu non avrai più il figlio, sul petto del quale speravi di riposare il tuo capo canuto — nè potrai riscaldare queste labbra morenti co’ tuoi baci! e forse tu mi seguirai! — Io vacillava, o Lorenzo. Or è questa la ricompensa dopo ventiquattro anni di speranze e di cure? Ma sia così! Iddio che ha tutto destinato non l’abbandonerà — nè tu! Ah finchè io non bramava che un amico fedele, io vissi felice. Il cielo te ne rimeriti! Ma e tu pure non ti aspettavi ch’io ti pagassi di lagrime. Pur troppo ti pagherei a ogni modo di lagrime! or tu non proferire su le mie ceneri la crudele bestemmia: Chi vuol morire non ama nessuno. — Che non tentai sopra di me? che non feci? che non dissi a Dio? ah la mia vita pur troppo sta tutta nelle mie passioni, e se non potessi distruggerle meco — oh a che angosce, a che spasimi, a quanti pericoli, a quali furori, a che deplorabile cecità, a che delitti non mi strascinerebbero a forza! Un giorno, o Lorenzo, prima ch’io decretassi la morte mia, io stava genuflesso implorando dal cielo pietà, e le mie lagrime pioveano abbondanti — e in quel punto mi si sono improvvisamente inaridite le lagrime, e il cuore mi s’è inferocito, e avresti detto che mi venisse mandato appunto dal cielo un delirio ad assalirmi, — e mi rizzai; e scrissi alla giovine misera, che io me ne andava ad aspettarla in un altro mondo, e che non tardasse a raggiungermi, e l’ammaestrava del come e del quando e dell’ora. — Ma poi non forse la compassione, non la vergogna, nè il rimorso, nè Iddio — bensì l’idea che non è più la vergine di due mesi fa, e che è donna contaminata dalle braccia d’un altro, ha incominciato a farmi pentire di sì atroce disegno. Vedi come la vita mia sarebbe a voi tutti più dolorosa che la mia morte; e infame forse a voi tutti. Invece se mi divido per sempre da Teresa degno di lei, la memoria mia serberà certamente il suo cuore degno di me, e benchè serva di un altro, potrà almeno