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122 ultime lettere d’jacopo ortis.

mia Teresa, presso a quel tronco, e quell’erba ha dianzi bevute le più dolci lagrime ch’io abbia versato mai; mi pareva ancora calda dell’orma del tuo corpo divino; mi pareva ancora odorosa. Beata sera! come tu sei stampata nel mio petto! — io stava seduto al tuo fianco, o Teresa, e il raggio della luna penetrando fra i rami illuminava il tuo angelico viso! io vidi scorrere su le tue guance una lagrima, e la ho succhiata, e le nostre labbra, e i nostri respiri si sono confusi, e l’anima mia si trasfondea nel tuo petto. Era la sera de’ 13 maggio, era giorno di giovedì. Da indi in qua non è passato momento ch’io non mi sia confortato con la ricordanza di quella sera: mi sono reputato persona sacra, e non ho degnata più alcuna donna di un guardo, credendola immeritevole di me — di me che ho sentita tutta la beatitudine di un tuo bacio.

T’amai dunque, t’amai, e t’amo ancor di un amore che non si può concepire che da me solo. È poco prezzo, o mio angelo, la morte per chi ha potuto udir che tu l’ami, e sentirsi scorrere in tutta l’anima la voluttà del tuo bacio, e piangere teco — Io sto col piè nella fossa: eppure tu anche in questo frangente ritorni, come solevi, davanti a questi occhi che morendo si fissano in te, in te che sacra risplendi di tutta la tua bellezza. E fra poco! Tutto è apparecchiato: la notte è già troppo avanzata — addio — fra poco saremo disgiunti dal nulla, o dalla incomprensibile eternità. Nel nulla? Sì — Sì, sì; poichè sarò senza di te, io prego il sommo Iddio, se non ci riserba alcun luogo ov’io possa riunirmi teco per sempre, lo prego dalle viscere dell’anima mia, e in questa tremenda ora della morte, perchè egli m’abbandoni soltanto nel nulla. Ma io moro incontaminato, e padrone di me stesso, e pieno di te, e certo del tuo pianto! Perdonami, Teresa, se mai.... — Ah consolati, e vivi per la felicità de’ nostri miseri genitori; la tua morte farebbe maledire le mie ceneri.

Che se taluno ardisse incolparti del mio infelice destino, confondilo con questo mio giuramento solenne ch’io pronunzio gittandomi nella notte della morte: Teresa è innocente. — Ora tu accogli l’anima mia.


Il ragazzo, che dormiva nella camera contigua all’appartamento di Jacopo, fu scosso come da un lungo gemito: tese l’orecchio per sincerarsi s’ei lo chiamava; aprì la finestra sospettando ch’io avessi gridato all’uscio, da che stava avvertito ch’io sarei tornato sul far del dì: ma chiaritosi che tutto era quiete e la notte ancor fitta, tornò a coricarsi e si addormentò. Mi disse poi che quel gemito gli aveva fatto paura; ma che non vi badò più che tanto, perchè il suo padrone soleva alle volte smaniare fra il sonno.

La mattina, Michele dopo aver bussato e chiamato un pezzo alla porta, sforzò il chiavistello; e non sentendosi rispondere nella prima camera, s’innoltrò perplesso; e al chiarore della lucerna che ardeva tuttavia gli si affacciò Jacopo agonizzante nel proprio sangue. Spalancò le finestre chiamando gente; e perchè nessuno accorreva, s’affrettò a casa del chirurgo, ma non lo trovò perchè as-