Pagina:Ultime lettere di Jacopo Ortis.djvu/164

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162 discorso sul testo del poema di dante.

gavano di giacere fra’ cadaveri in luogo sacro1. Comunque si fosse, quanto le circostanze del miracolo avevano meno del verosimile, tanto più richiedevano d’essere adonestate dalla occasione che le produsse; e che ogni uomo sapesse, e niuno potesse negare che il Poema fu pubblicato più tempo dopo che l’autore morì. E se fosse stato conosciuto prima, chi mai non l’avrebbe inteso a que’ giorni? e perchè mai gli amici e i figliuoli di Dante e il Boccaccio avrebbero provocato, e come scansato, il titolo d’impostori? Ma se la Commedia fu letta più tardi dagli uomini, la visione di Jacopo, quand’anche non fosse stata creduta da molti, non poteva essere contraddetta. Anche i preti ne predicavano così fatte; e le scuole, a provare l’incorporea essenza dell’anima, affermavano la dottrina della divinazione per ajuto di sogni2.

XXIX. Bensì i pochi fatti schietti che usciranno dalle meraviglie del racconto del Boccaccio, sono convalidati dal silenzio assoluto di Dante intorno alla sua grande Opera. Le ragioni di tanto silenzio concorrono a dimostrare ch’esso nè voleva, nè poteva, nè doveva pubblicarla, se non quando le condizioni d’Italia l’avessero comportato. Ben ei parla talor del Poema; ma non altrove che nel Poema. Sentiva altamente, e noi dissimulava, di essere stato promotore illustre della poesia italiana3; e nondimeno ne’ suoi trattati in prosa, recita versi delle sue canzoni, e non uno mai del Poema. Allude al libro su l’Eloquenza Volgare come cosa da farsi4; e ricorda spesso la Vita Nuova nell’opera sua del Convito, diretta anch’essa — «a perpetuale infamia e depressione delli malvagi uomini di Italia, che commendano lo Volgare altrui, e lo proprio dispregiano:5» — anzi illustra le sue Canzoni per provvedere alla sua fama; — perch’io mi sono fatto più vile forse che il vero non vuole, non solamente a quelli (Italiani) alli quali mia fama era già corsa, ma eziandio agli altri, onde le mie cose senza dubbio meco sono alleviate6; convienmi, che con più alto stilo dea nella presente opera un poco di gravezza, per la quale paja di maggiore autorità7.» Queste parole scrivevale dopo ch’era trapassata la sua gioventù8, — la quale, al parer suo, «nel quarantacinquesimo anno si compie9» — e quando egli mai

  1. Vedi dietro, sez. XIII.
  2. Convito, pag. 120.
  3. Inferno, canto XV, v. 55, segg.; Purgatorio, canto XI, 102, segg.; XI, 97, segg., XXII, 52, segg.
  4. «Di questo si l’urlerà altrove più compiutamente in un libro, che io intendo di fare. Dio concedente, di Volgare EloquenzaConvito, pag. 76.
  5. Convito, pag. 93.
  6. Diminuite in peggio; ed e l’unico esempio ch’io sappia d’alleviare in questo significato. Se gli Accademici lo avvertirono e lo rifiutarono sono da lodarsi, caso che l’abbiano fatto per ciò che i troppi sensi diversi assegnati alla stessa parola sono scabbia pessima delle lingue.
  7. Convito, pag. 75.
  8. Ivi, pag. 67.
  9. Ivi, pag. 2?0; e qui, sez. CV.