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DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 193

Praga; e la codardia al re di Boemia; ’ e la vita effeminata ad Alfonso II di Spagna, e peggio a Federigo d’Aragona, clie regnava in Sicilia; e il mestiere di mercante usurajo a Dio- nisio Il re di Portogallo. Non dimentica il re di Norvegia; né un tristo principe in E ascia, del quale non ho mai risaputo novella; credo regnasse in Ragusa, e s’ajutò foggiando i du- cati de’ Veneziani ^. Da questi principi , benché tutti viventi , e alcuni gli sopravvissero, forse Dante non avrebbe avuto assai da temere, quand’anche avesse pubblicato il Poema. Pur in quel canto stesso registra il nome di Carlo re di Napoli « con nna » sola virtù e mille vizj ; » e perpetua il titolo meritato di falso monetiere sovra Fiìippo-il-Bello, tiranno atrocissimo nelle vendette; * e sul quale dal primo canto sino all’ultimo della Commedia scoppiano vilipendj importabili anche ad uomini de- boli e tolleranti ’’. Filippo lasciò potentissimi i suoi fratelli e nipoti in Italia, e morì sett’ anni innanzi al Poeta che li no- mina - « razza d’un beccajo di Parigi, e d’avi imbecilli, e di » padri perfidi che facevano mozzare il capo ai Signori legit- » timi dell’ Itaha , e avvelenare Tommaso d’Aquino ; e i loro » discendenti vincevano maneggiando l’armi di Giuda più che » la spada; e per liberarsi da’ pericoli, patteggiarono la carne » d’ una loro figliuola % » - vendendola al letto d’ un vecchio principe confiminte con la città di Ravenna; ^ ove Dante ebbe l’ultimo, e verosimilmente il suo più lungo ricovero. La casa di Francia da Napoli aspirava al dominio di tutta l’Italia, e signoreggiava più d’una città in Lombardia. Però non sì tosto i Ghibellini, cominciando a prevalere, crearono Cane della Scala lor Capitano in Verona, Roberto fa creato in Brescia Capitano della lega de’ Guelfi ’.

LVI. La Chiesa era serva Francese, coni’ oggi è Tedesca; ma in quell’epoca afi’ascinava ogni terra d’Europa; né città, nò principe ghibellino, avrebbero mai dato asilo sicuro a uno scrit- tore scomunicato. Quando il processo di questo Discorso farà manifesto che il sommo, se non l’unico fine del Poema era di riformare tutta la disciplina, e parte anche de’ riti e de’ dogmi della Chiesa Papale , uscirà fuor d’ ogni dubbio che se alcuni


1 Vincislao, suo figlio Barbuto, cui lussuria ed ozio pasce.^

Purgaioìio, VII, 101.

2 Paradiso, XIX, lOi, 148.

3 II étoit vindicatif jusqu’à l’excès. Montfaucon, presso de Rouwnis, Purga- torio, VII, 103. — « Per consiglio di certi appaltatori Loml«ardi altero le mo- > liete duna maniera sì strabocchevole, che i sediziosi gli davano il nome di » falso monetiere. » Millot, presso il Portirelli, ivi, ediz. Milanese declassici.

4 Inferno, 1, 45-48: XIX, 87; Purgatorio, VII. 109: XX, 8(5, seg.; XXXII, 152, seg.: XXXIII, 45; Paradiso, XiX, 118, e altrove.

5 Purgatorio, XX, 43-96.

6 Gira Idi, Commentano delle cose di Ferrara, presso il Lombardi. — Purga- torio, XX, 7». "^

7 Muratori, Annali, an. 131S1320

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