Pagina:Ultime lettere di Jacopo Ortis.djvu/321

Da Wikisource.

SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 319

> l’animo un altro pensiero, per lo quale a ima medesima ora, » cioè in una medesima opera propose, mostrando la sua suf- » fìcienza, di mordere con gravissime pene i viziosi , e con » grandissimi premj i virtuosi, e i valorosi onorare, ed a sé » perpetua gloria apparecchiare. E per ciò, come è già mo- » strato, che egli aveva ad ogni studio già prepostala Poesia, » poetica opera stimò di comporre. — La Teologia e la Poesia » quasi una cosa si possono dire, dove un medesimo sia il » suggetto; anzi dico di più, che la Teologia niun’ altra cosa » è che una Poesia di Iddio. — E certo se le mie parole me- » Titano poca fede in si gran cosa, io non me ne turberò; ma » credasi ad Aristotile , dignissimo testimonio ad ogni grnn » cosa, il quale atFerma, sé aver trovati i Poeti essere stati li » primi Teologanti *. » Ninno mai scrisse definizione più su- blime insieme e si esatta della poesia; ne additò sì da presso le origini e le intenzioni perpetue della Divina Commedia. Vero é che una sacra visione agitavasi nella fantasia di Dante, chi sa da quando? e fors’ anche sino dalla sua fanciullezza; ed ei l’aveva già disegnata più tempo innanzi che le sue fiere pas- sioni fossero state irritate dalle pubbliche sciagure e dalle do- mestiche, e promettevala nel libro gentile della Vita Nuova. — « Apparve a me una mirabil visione, nella quale io vidi cose, » che mi fecero proporre di non dir più di questa Benedetta, » infino a tanto che io non potessi più degnamente trattar di » lei ; e di venire a ciò, io studio quant’ io posso, siccom’ ella » sa veracemente. Sicché, se piacere sarà di Colui, a cui tutte » le cose vivono, che la mia vita per alquanti anni perseveri, » spero di dire di lei quello, che mai non fu detto d’alcuna*. » — Pur la visione eh’ ei meditava sino d’ allora, a pena era si- mile a questa eh’ oggi leggiamo. Se mai le sorti gli avessero conceduto vita quietissima, forse che la sua fantasia sarebbesi sollevata continuamente a celesti contemplazioni, e non avrebbe veduto mai né V Inferno né il Purgatorio. Credo, non però n’ho certezza di prove, che la terza Cantica fosse la prima incomin- ciata da Dante, ideata e disegnata a stare da sé; e non molto dissimile dal Sogno di Scipione^ ammirato altamente da Dante sino dalla sua giovinezza *.

CLX. E mi credo, e in ciò mi sento sicuro del vero, che mol- tissimi tratti, e più veramente i dottrinali e allegorici nel Pa- radiso^ siano stati i primi pensati e composti più tempo innanzi che il Poeta s’insignorisse della lingua e dell’arte. Perché di rado nella prima Cantica, e più di rado nella seconda, gli è forza di contentarsi di latinismi crudissimi, di ambiguità di sintassi, e di modi ruvidi che alle volte guastano l’ultima.


1 Vita di Dante, pag. 61, pag. 53.

2 Vita Nuova, ultima pagina.

3 Ck)nvitOf pag. 128; e altrove.


320