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SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE. 321

quando clie fosse, e tuttavia gli permettesse cangiamenti infi- niti, senza che mai disturbassero il suo tutto, né alterassero in nulla il di.segno. Bastava mutare le parti ; e anche, mutandone molte, e più d’una volta, il Poema si rimaneva lo stesso a ogni modo. La somma di quattordici mila ducento e trenta versi si scopre accuratamente ripartita cosi che la prima Cantica non è che di trenta più breve che la seconda, nò la seconda più di sei che la tei za. —

S’ 10 avessi, Lettor, p ù lungo spazio Da scrivre, io pur canterei in parte Lo dolce ber, che mai non m’avria sazio.

Ma perchè piene sou tutte le carte, Ordite a questa cantica seconda, Non mi lascia più ir lo fren dell’arte ’. —

Pur l’Autore standosi inflessibilmente sotto queste sue leggi, o noverando i versi a ciascheduno de’ cento canti, affinchè l’uno non soverchiasse l’altro di troppa lunghezza, gli alterava qua e là a norma degli avvenimenti che gli importava di celebrare, e che non per tanto accadevano dopo ch’esso aveva già termi- nato que’ canti. A ciò gli giovava mirabilmente lo spirito di profezia , ch’ei diede anche a’ dannati , e li fece veggenti di lontanissimi casi, tanto che , dove occorressero , gli fosse dato di poterne parlare. Ei ne bramava parecchi, e tardavagli che si mutassero. Però conversando co’ Santi che vedevano tutto in Dio, Carlo Martello gli rivelò all’orecchio la vendetta preparata a Roberto, usurpatore del Regno di Napoli, da’ suoi nipoti:

Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, M’ebbe chiarito, mi narrò gl’inganni Che ricever dovea la sua semenza ;

Ma disse: Taci, e lascia volger gli anni; Si ch’io non posso dir, se non che pianto Giusto verrà dirietro a* vostri danni 2.

Se non che gli anni continuarono regno prospero e lungo a Roberto: * ma se si fossero aifrettati a farlo spettacolo di scia- gurata ambizione, il Poeta avrebbe egli taciuto ? *

CLXII. In quel canto medesimo lo spirito d’una bella citta- dina del terzo cielo fra le anime innamorate, predice immi- nenti le rotte che i Guelfi poscia toccarono dallo Scaligero:

Cunizza fui chiamata, e qui r fulgo Perchè mi vinse il lame d’està stella; *


1 Purgatorio, XXXIII, Ì36-141

2 Paradiso, IX, 1 -6

3 Vedi dif^tro, scz. LUI.

  • Sez. XXXL

5 Paradiso, IX, 32, segg.

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