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ultime lettere d’jacopo ortis. 33


3 dicembre.

Stamattina io me n’andava un po’ per tempo alla villa, ed era già presso alla casa T***, quando mi ha fermato un lontano tintinnio d’arpa. O! io mi sento sorridere l’anima, e scorrere in tutto me quanta mai voluttà allora m’infondeva quel suono. Era Teresa — come poss’io immaginarti, o celeste fanciulla, e chiamarti dinanzi a me in tutta la tua bellezza, senza la disperazione nel cuore! Pur troppo! tu cominci a gustare i primi sorsi dell’amaro calice della vita, ed io con questi occhi ti vedrò infelice, nè potrò sollevarti se non piangendo! io; io stesso ti dovrò per pietà consigliare a pacificarti con la tua sciagura.

Certo ch’io non potrei nè asserire nè negare a me stesso ch’io l’amo; ma se mai, se mai! — in verità non d’altro che di un amore incapace di un solo pensiero: Dio lo sa! —

Io mi fermava lì lì, senza batter palpebra, con gli occhi, le orecchie, e i sensi tutti intenti per divinizzarmi in quel luogo dove l’altrui vista non mi avrebbe costretto ad arrossire dei miei rapimenti. Ora pônti nel mio cuore, quand’io udiva cantar da Teresa quelle strofette di Saffo tradotte alla meglio da me con le altre due odi, unici avanzi delle poesie di quella amorosa fanciulla, immortale quanto le Muse. Balzando di un salto, ho trovato Teresa nel suo gabinetto su quella sedia stessa ove io la vidi il primo giorno, quand’ella dipingeva il proprio ritratto. Era neglettamente vestita di bianco; il tesoro delle sue chiome biondissime diffuse su le spalle e sul petto, i suoi divini occhi nuotanti nel piacere, il suo viso sparso di un soave languore, il suo braccio di rose, il suo piede, le sue dita arpeggianti mollemente, tutto tutto era armonia: ed io sentiva una nuova delizia nel contemplarla. Bensì Teresa parea confusa, veggendosi d’improvviso un uomo che la mirava così discinta; ed io stesso cominciava dentro di me a rimproverarmi d’importunità e di villania: essa tuttavia proseguiva, ed io sbandiva tutt’altro desiderio, tranne quello di adorarla, e di udirla. Io non so dirti, mio caro, in quale stato allora io mi fossi: so bene ch’io non sentiva più il peso di questa vita mortale.

S’alzò sorridendo, e mi lasciò solo. Allora io rinveniva a poco a poco: mi sono appoggiato col capo su quell’arpa, e il mio viso si andava bagnando di lagrime — oh! mi sono sentito un po’ libero.

Padova, 7 dicembre.

Non lo vo’ dire; pur temo assai non tu m’abbia pigliato in parola, e ti sia maneggiato a tutto potere per cacciarmi dal mio dolce romitorio. Jeri mi sopravvenne Michele a darmi avviso da parte di mia madre, ch’era già allestito l’alloggio in


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