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382 DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE.

portava titolo di marchesato — che si diletta di lettere per degnazione; e tuttavia richiamavasi al testimonio di accenti e segni ortografici in tutti i codici, quando assai pochi, e solo i recentissimi, n’ hanno; pur quali e quanti bastavano ad acque- tare la coscienza d’ ogni grammatico’. Proverbiando gli acca- demici della Crusca, e pur fiorentineggiando più ch’essi, ogni idiotismo e arcaismo toscano gli era lezione purissima. I co- dici, ove brulicavano di mostri, tanto più gli venivano in gra- zia; e purché vi spiasse interpretazioni inaudite, a lui parevano modi originali di lingua degni della divinità del Poema. Leg- geva, viaggiava, sognava a illustrarlo con anticaglie minute ed aneddoti, contraddicendo sempre ad ogni uomo; anzi per lavare l’Autore di ogni macchia umana che mai gli scrittori nemici ed amici gli abbiano attribuito, contraddiceva anche a Dante, e anche dove ha parlato di sé ’^ Così fattosi martire del Poema e del Poeta, provocava altri a ridere insieme e resi- stergli ; perch’ era acuto, ostinato, imperterrito : e i più lo cre- devano vittorioso, quando pochi si trovano d’avere tanto d’ozio e di vocazione da sincerarsi del merito in si fatte dispute • onde il Bodoni si tenne beato di lasciargli emendare il testo di una edizione splendida; ’ e l’arte del tipografo preserveià i sogni dell’antiquario. Pur tanti n’aveva il Dionisi per fan- tasia, e li riguardava e spianavali in mille modi, che dove gli altri critici avevano disperato del vero , ei talor vi coglieva. Scoperse alcuni documenti ignotissimi ed utili, e richiamò gli studj alla storia della Divina Commedia.

CCVIIT. 11 Lombardi, opponendo fatti veri, perseveranza di metodo, e senso comune, redense il Poema dalle imputazioni gesuitiche, e dall’autorità conce-iuta sovr’ esso alla critica della Crusca. Se non che, o non vedendo, o più veramente non potendo più in là, tenne le allusioni alla religione fra’ termini degli antichi. Non migliorò il modo usato d’esposizione, ma ne scemò la verbosità, e sciolse nodi spesso intricati dagli al- tri. Era anzi temprato ad intendere che a sentire la Poesia; o forse a non potere esprimere quant’ ei sentiva. Scrive duro ed inelegante, per non dire plebeo; e non giureresti che fosse dotto. Armeggiando contro chiunque non trova ragione sufficiente della punizione d’ Elena fra le anime lussuriose, dimentica che Dante neW Eneide la vide druda di tre mariti, perfida a tutti. Onde — « acciocché cotale importante circostanza (della libi- » dine d’ Elena) sia testificata, » — allega — « La Istoria De » ExciDio Trojae, attribuita a Darete Frigio, scrittore più an- » tico d’Omero *. » Darete era aiutante di campo di Ettore ; e Dite Cretense era segretario d’Tdomeneo; e l’uno e l’altro


\ Blandimenti Funebri, pag: 95, Piidovn, 1794.

•2 Preparazione istjrica e critica, cap, XVIII-XLIII.

3 Parm-, 1795.

1 Inferno, V, 64-65, cdiz. Pailovan.^ vj!. I, pig. 118.


DISCORSO