Pagina:Ultime lettere di Jacopo Ortis.djvu/39

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ultime lettere d’jacopo ortis. 37

come s’io avessi dovuto trangugiarmi pacificamente una ingiuria da colui, che ne’ tempi addietro mi aveva mangiato la metà del cuore. Questa galante gentaglia affetta generosità, perchè non ha coraggio di vendicarsi a visiera alzata: ma chi vedesse i notturni pugnali, e le calunnie, e le brighe! — E dall’altra parte io non l’ho soperchiato. Gli dissi: Voi avete braccia e petto al pari di me, ed io sono mortale come voi. Egli pianse, e gridò; ed allora la ira, quella furia mia dominatrice, cominciò ad ammansarsi, perchè dall’avvilimento di lui mi accòrsi che il coraggio non deve dare diritto per opprimere il debole. Ma deve per questo il debole provocare chi sa trarne vendetta? Credimi: ci vuole una stupida bassezza, o una sovrumana filosofia per lasciarsi a beneplacito d’un nemico che ha la faccia impudente, l’anima negra, e la mano tremante.

Frattanto l’occasione mi ha smascherato tutti que’ signorotti, che mi giuravano sviscerata amicizia; che ad ogni mia parola faceano le meraviglie; e che ad ogni ora mi proferivano la loro borsa e il lor cuore. Sepolture! bei marmi, e pomposi epitaffi; ma se tu gli schiudi, vi trovi vermi e fetore. Pensi tu, mio Lorenzo, che se l’avversità ci riducesse a domandare del pane, vi sarebbe taluno memore delle sue promesse? o nessuno, o qualche astuto soltanto, che co’ suoi beneficj vorrebbe comprare il nostro avvilimento. Amici da bonaccia, nelle burrasche ti annegano. Per costoro tutto è calcolo in fondo. Onde se v’ha taluno nelle cui viscere fremano le generose passioni, o le deve strozzare, o rifuggirsi come le aquile e le fiere magnanime ne’ monti inaccessibili e nelle foreste lungi dalla invidia e dalla vendetta degli uomini. Le sublimi anime passeggiano sopra le teste della moltitudine che oltraggiata dalla loro grandezza tenta d’incatenarle o di deriderle, e chiama pazzie le azioni ch’essa immersa nel fango non può, non che ammirare, conoscere. — Io non parlo di me; ma quand’io ripenso agli ostacoli che frappone la società al genio ed al cuore dell’uomo, e come ne’ governi licenziosi o tirannici tutto è briga, interesse e calunnia — io m’inginocchio a ringraziar la natura che dotandomi di questa indole nemica di ogni servitù, mi ha fatto vincere la fortuna, e mi ha insegnato a innalzarmi sopra la mia educazione. So che la prima, sola, vera scienza è questa dell’uomo la quale non si può studiare nella solitudine, e nei libri; e so che ognuno dee prevalersi della propria fortuna, o dell’altrui per camminare con qualche sostegno su i precipizj della vita. Sia: per me pavento d’essere ingannato da chi saprebbe ammaestrarmi; precipitato da quella stessa fortuna che potrebbe innalzarmi; e battuto dalla mano che avrebbe tanto vigore da sostenermi................................................................................................ .................................