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ultime lettere d'jacopo ortis 43

a’ vecchi del contado, che da molti anni le morì di un’archibugiata il marito, dal quale ebbe figliuoli e figliuole, e quindi generi, nuore e nipoti, ch’essa vide tutti perire e cascarle l’un dopo l’altro a’ piedi nell’anno memorabile della fame. — Eppur, fratello Lorenzo, nè i passati nè i presenti mali la uccidono, e si palpa ancora una vita che nuota sempre in un mar di dolore.

Ahi dunque! tanti affanni assediano la nostra vita, che a mantenerla vuolsi non meno che un cieco istinto prepotente per cui (quantunque la natura ci spiani i mezzi da liberarcene) siamo spesso forzati a comperarla con l’avvilimento, col pianto, e talvolta ancor col delitto!

17 marzo. 1

Da due mesi non ti do segno di vita, e tu ti se’ sgomentato; e temi ch’io sia vinto oggimai dall’amore da dimenticarmi di te e della patria. Fratello Lorenzo, perdonami; tu conosci pur poco me e il cuore umano ed il tuo, se presumi che il desiderio di patria possa temperarsi mai, non che spegnersi; se credi che ceda ad altre passioni — ben irrita le altre passioni, e n’è più irritato; ed è pur vero, e in questo hai ragione, che l’amore in un’anima esulcerata, e dove le altre passioni sono disperate, riesce onnipotente — e io lo provo; ma che riesca funesto, t’inganni: senza Teresa, io sarei forse oggi sotterra.

La natura crea di propria autorità tali ingegni da non poter essere se non generosi; venti anni addietro sì fatti ingegni si rimanevano inerti ed assiderati nel sopore universale d’Italia: ma i tempi d’oggi hanno ridestato in essi le virili e natie loro passioni; ed hanno acquistato tal tempra, che spezzarli puoi, piegarli non mai. E non è sentenza metafisica questa: la è verità che splende nella vita di molti antichi mortali gloriosamente infelici; verità di cui mi sono accertato convivendo fra molti nostri concittadini: e li compiango insieme e gli ammiro; da che, se Dio non ha pietà dell’Italia, dovranno chiudere nel loro secreto il desiderio di patria — funestissimo! perchè o strugge, o addolora tutta la vita; e nondimeno anzichè abbandonarlo, avranno cari i pericoli, e quell’angoscia, e la morte. Ed io mi sono uno di questi; e tu, mio Lorenzo.

Ma s’io scrivessi intorno a quello ch’io vidi, e so delle cose nostre, farei cosa superflua e crudele ridestando in voi tutti il furore che vorrei pur sopire dentro di me: piango, credimi, la patria — la piango secretamente, e desidero

  1. Lettera omessa in tutte le edizioni posteriori alla prima nella quale unicamente si legge.
  2. Petrarca.