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ultime lettere d'jacopo ortis. 59

mano divina. T’ho insegnato io forse ad amare, ed a piangere? e cerchi tu un breve momento di sonno, perchè ti ho turbato le tue notti innocenti e tranquille? A questo pensiero me le sono prostrato davanti immobile immobile rattenendo il sospiro: — e sono fuggito per non ridestarla alla vita angosciosa in cui geme. Non si querela; e questo mi strazia ancor più: ma quel suo viso sempre più mesto, e quel guardarmi con pietà, e tremare sempre al nome di Odoardo, e sospirare sua madre — ah! il cielo non ce l’avrebbe conceduta, se non dovesse anch’essa partecipare del sentimento del dolore. Eterno Iddio! esisti tu per noi mortali? o sei tu padre snaturato verso le tue creature? So che quando hai mandato su la terra la Virtù, tua figliuola primogenita, le hai dato per guida la Sventura. Ma perché poi lasciasti la giovinezza e la beltà così deboli da non poter sostenere le discipline di sì austera istitutrice? in tutte le mie afflizioni ho alzato le braccia sino a te, ma non ho osato nè mormorare nè piangere: ahi adesso! E perchè farmi conoscere la felicità, s’io doveva bramarla sì fieramente, e perderne la speranza per sempre? — per sempre! No, Teresa è mia, tutta; tu me l’hai assegnata, perché mi creasti un cuore capace di amarla immensamente, eternamente.

13 maggio.

S’io fossi pittore! che ricca materia al mio pennello! l’artista immerso nella idea deliziosa del bello addormenta o mitiga almeno tutte le altre passioni. — Ma se anche fossi pittore? Ho veduto ne’ pittori e ne’ poeti la bella e talvolta anche la schietta natura; ma la natura somma, immensa, inimitabile non l’ho veduta dipinta mai. Omero, Dante e Shakespeare, tre maestri di tutti gl’ingegni sovrumani, hanno investito la mia immaginazione ed infiammato il mio cuore: ho bagnato di caldissime lagrime i loro versi; e ho adorato le loro ombre divine come se le vedessi assise su le volte eccelse che sovrastano l’universo a dominare l’eternità. Pure gli originali che mi veggo davanti mi riempiono tutte le potenze dell’anima; e non oserei, Lorenzo, non oserei, s’anche si trasfondesse in me Michelangelo, tirarne le prime linee. Sommo Iddio! quando tu miri una sera di primavera ti compiaci forse della tua creazione? tu mi hai versato per consolarmi una fonte inesausta di piacere, ed io l’ho guardata sovente con indifferenza. — Su la cima del monte indorato dai pacifici raggi del sole che va mancando, io mi vedo accerchiato da una catena di colli su i quali ondeggiano le mèssi, e si scuotono le viti sostenute in ricchi festoni dagli ulivi e dagli olmi: le balze e i gioghi lontani van sempre crescendo come se gli uni fossero imposti su gli altri. Di sotto a me le coste del monte sono spaccate in burron infecondi, fra i quali si vedono offuscarsi le ombre della sera, che a poco a poco s’innalzano; il fondo oscuro e