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ultime lettere d’jacopo ortis. 85

Per noi dunque quale asilo più resta, fuorchè il deserto, e la tomba? — e la viltà! e chi più si avvilisce, più vive forse; ma vituperoso a sè stesso, e deriso da quei tiranni medesimi a cui si vende, e da’ quali sarà un dì trafficato.

Ho corsa tutta Toscana. Tutti i monti e tutti i campi sono insigni per le fraterne battaglie di quattro secoli addietro; i cadaveri intanto d’infiniti Italiani ammazzatisi hanno fatte le fondamenta a’ troni degli imperadori e de’ papi. Sono salito a Monteaperto dove è infame ancor la memoria della sconfitta de’ Guelfi.1 — Albeggiava appena un crepuscolo di giorno, e in quel mesto silenzio, e in quella oscurità fredda, con l’anima investita da tutte le antiche e fiere sventure che sbranano la nostra patria — o mio Lorenzo! io mi sono sentito abbrividire, e rizzare i capelli; io gridava dall’alto con voce minacciosa e spaventata. E mi parea che salissero e scendessero dalle vie più dirupate della montagna le ombre di tutti que’ Toscani che si erano uccisi; con le spade e le vesti insanguinate; guatarsi biechi, e fremere tempestosamente, azzuffarsi e lacerarsi le antiche ferite. — O! per chi quel sangue? il figliuolo tronca il capo al padre e lo squassa per le chiome — e per chi tanta scellerata carnificina? I re, per cui vi trucidate, si stringono nel bollor della zuffa le destre, e pacificamente si dividono le vostre vesti e il vostro terreno. — Urlando io fuggiva precipitosamente guatandomi dietro. E quelle orride fantasie mi seguitavano sempre: — e ancora quando io mi trovo solo di notte mi sento attorno quegli spettri, e con essi uno spettro più tremendo di tutti, e ch’io solo conosco. — E perché io debbo dunque, o mia patria, accusarti sempre e compiangerti, senza niuna speranza di poterti emendare o di soccorrerti mai?

Milano, 27 ottobre.

Ti scrissi da Parma; e poi da Milano il dì ch’io ci giunsi: la settimana addietro ti scrissi una lettera lunghissima. Come dunque la tua mi capita sì tarda, e per la via di Toscana d’onde partii sino da’ 28 settembre? mi morde un sospetto: le nostre lettere sono intercette. I governi millantano la sicurezza delle sostanze; ma invadono intanto il secreto, la preziosissima di tutte le proprietà: vietano le tacite querele; e profanano l’asilo sacro che le sventure cercano nel petto dell’amicizia. Sia pure! io mel dovea prevedere: ma que’ loro manigoldi non andranno più a caccia delle nostre parole e de’ nostri pensieri. Troverò compenso perché le nostre lettere d’ora in poi viaggino inviolate. Tu mi chiedi novelle di Giuseppe Parini: serba la sua generosa fierezza, ma parmi sgomentato dai tempi e dallavec-

  1. Dante accenna questa battaglia nel X dell’Inferno; e quei versi forse suggerirono all’Ortis di visitare Montaperto. Ma il lettore può trarne ampie notizie dalle Croniche di G. Villani, lib. IV, 83.