Pagina:Una sfida al Polo.djvu/170

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164 capitolo xiii.

Non si è mai ingannato nel predire le grandi tempeste, i grandi freddi, le scarse caccie e non s’ingannerà ora.

— E vuoi che torniamo indietro?

— Sì: questo e il fermo volere mio e di tutti i miei sudditi.

— Sia pure, ce ne andremo, — rispose il canadese. — Metti in libertà il mio marinaio e rimetteremo in moto la nostra bestia.

— Ah no! — esclamò Karalit. — Senza bestia.

— Che cosa vorresti dire? — urlò il canadese.

— Che la bestia rimarrà qui, perchè tenga lontani, colle sue urla, gli spiriti maligni. S’incaricherà l’angekok di darle da mangiare.

— Come!... Tu pretenderesti che ti lasciassimo la nostra macchina!...

— Accoppiamolo, signor di Montcalm!... — urlò lo studente.

— Guardatevi!... — disse Karalit, con voce minacciosa. — Ho cento uomini sotto di me e se volessi averne tre volte tanti non avrei che da far attaccare i cani e mandare alcuni dei miei uomini da mio suocero, il gran capo dei Katirak.

Cadremo noi, ma cadreste anche voi.

Ho detto!... Tornerò prima che il sole tramonti!... —

Con un’agilità meravigliosa Karalit si gettò dietro l’hummok, mentre i suoi uomini si disperdevano in tutte le direzioni correndo come lupi e scomparve fra le tenebre prima che i due esploratori avessero avuto il tempo di far uso delle loro armi.

— Pezzo di galera!... — gridò lo studente. — Ci è scappato di sotto mano!... E quell’animale di Dik, che si è lasciato cogliere come una gru addormentata, e perfino farsi prendere la rivoltella!

— L’avranno sorpreso nel sonno, — rispose il canadese. — E poi, con cento uomini che aveva intorno, ben poco avrebbe