Pagina:Una sfida al Polo.djvu/181

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tempesta polare 175


Due colpi di fuoco squarciarono l’aria illuminando per un istante la notte cupa, poi seguì un craac craac precipitoso.

I serbatoi dei mausers si vuotavano, seminando la bianca pianura di proiettili.

Gli esquimesi, sorpresi da quel fuoco intenso che pareva non dovesse finire più, e terrorizzati da quella continua successione di detonazioni, erano balzati in piedi tentando di arrestare quella grandine di palle con delle volate di freccie, poi vedendo che alcuni compagni erano già caduti urlando di dolore, per la seconda volta si erano slanciati a corsa furiosa verso il loro villaggio, ricacciandosi nelle loro gallerie e quindi nelle capanne.

La rotta era completa. I mangiatori di lardo ne avevano avuto abbastanza, poichè avevano lasciato sul terreno altri cinque uomini e tutti colpiti in pieno petto da quei terribili bersaglieri.

— Signor Gastone, — disse lo studente, il quale si affrettava a riempire il serbatoio del fucile. — Non vi pare che sia questo un brutto mestiere?

Noi massacriamo senza quasi correre alcun pericolo e ciò diventa noioso.

— Vorrei anch’io risparmiare quei poveri diavoli che quel cretino di stregone ha scaraventato contro di noi gonfiandoli di panzane, ma se noi mostriamo un solo istante di debolezza in questo momento, non risponderei più nè della nostra automobile nè della nostra pelle.

Ormai sono lanciati e non si arresteranno finchè non avranno vendicati i loro compagni.

— E Dik?

— Che cosa volete che vi dica?

— Non possiamo abbandonarlo.

— Non ci penso affatto.