Pagina:Una sfida al Polo.djvu/273

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le estreme terre boreali 267


— Ma la nostra automobile non è una nave, signor Gastone.

— Può correre egualmente dei gravissimi pericoli, poichè il pak, sotto l’enorme spinta del nuovo ghiaccio sarà costretto ad aprirsi, a creparsi, ed una spaccatura può manifestarsi, da un istante all’altro, sotto le ruote del nostro treno.

— Ed allora che succederebbe?...

— Un capitombolo in fondo al mare senza alcuna speranza di tornare a galla poichè il ghiaccio, durante le pressioni si apre e si chiude quasi istantaneamente.

— Le pressioni sono adunque i terremoti polari.

— Nè più nè meno, Walter.

— Diavolo!... — esclamò lo studente, grattandosi la punta del naso. — Io non sono mai stato un ammiratore dei terremoti.

— Dik, — chiese il canadese, — che cosa ci consigliate di fare?

— Aspettare, — rispose asciuttamente l’ex-baleniere, il quale aveva già fermato il motore.

— Non si potrebbe fare una volata fino all’isola di Devon? Là almeno potremmo riderci delle pressioni, poichè sulla terra ferma non avvengono.

— Ci occorrerebbe per lo meno una buona mezz’ora, signore. Aspettiamo qui che il movimento del pak cessi.

Il pericolo d’altronde sta qui come a dieci o venti miglia più innanzi.

— Walter, guardate il termometro.

— Quarantadue gradi sotto, — rispose lo studente.

— Mentre poco fa non ne segnava che 36. Che salto di freddo!...

— Me lo sento indosso, signor Gastone. Mi caccierei volentieri nel nostro carrozzone accanto alla stufa.

— Lo farete più tardi, quando il pericolo sarà cessato. Ecco