Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/28

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14 milton e galileo

L’Arti tornâr; ma dall’antico Olimpo
Tornò con esse Voluttà. La greca
Testa di mirti redivivi ombrata
300Mostrâr Venere e Bacco; e la cocolla
Indossando per gioco, al romorío
Si mescolâr de’ tuoi prandi notturni,
O folleggiando carolâr per l’ombre
De’ tuoi boschetti suburbani. O vigna
305Di Sion desolata! O del Signore
Contaminata greggia! Un’altra volta
Umanità corruppe le sue vie,
E ne’ diletti della carne assorto
Di Dio si rise e del suo ciel lo spirto.
310Tal Roma io vidi. E tu, Divino, a questo
Di bugiardi splendori idol caduco
La fronte inchini trepidando? Tu
Sovra la curva de’ rotanti soli
Uso a colloqui coll’Eterno, udirne
315Credi la voce d’un Urban sul labbro?”

     Gli ardenti detti placido ascoltava
Nè di negar nè d’assentir fea segno
L’alto Toscano. Poi dicea: “Se brama
Del poetico allor, figlio, ti punge,
320Ben le tue chiome un dì n’andranno altere;
Così fervida hai l’alma, e così piena
Rompe facondia dal tuo sen. Tonava
Non altrimenti, e contro Roma il fulmine