Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/36

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22 milton e galileo.

Trar di sua notte l’abbrutito schiavo.
Ma nè Pisa nè Genova, che fide
520Al cattolico rito i patrii fôri
Cinser devote di marmorei templi,
Fur men libere e grandi; e le tue vele,
Prode Vinegia, al musulman furore
Men tremende non fur, perchè le spoglie
525Delle vittorie al Dio grata appendevi.
Equa fortuna infaticabilmente
Volve sua rota: ad altre genti il sommo
Or è dato tener. Del santo raggio,
Che le strade di Dio segna a’ mortali,
530Guardïana severa, in ogni soffio
Roma paventa insidïoso assalto,
E la ragion, se non concessi voli
Tentar le sembri, minacciando affrena.
Ma de’ roghi il racconto e delle scuri
535Per cattolica rabbia insanguinate
Lascia, garzone, al rétore ventoso
Che lo stral drizza a Roma e non s’avvede
Che l’uom percote. E dove e quando ardente
Religïosa furia i petti invase
540Che il sangue non piovesse? Umani capi
Quelli non fur, che del Tamigi a’ ponti
La man confisse dell’ottavo Enrico?
Men cocenti e voraci eran le fiamme
Che Calvino accendea? Sulle vergogne
545Di questa cieca umanità gettiamo