Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/130

Da Wikisource.
104 pensieri (20-21)

si mettono a comporre. Non iscrivono mica con semplicità e naturalezza, che se questo fosse, i migliori scritti sarebbero quelli dei fanciulli; ma per contrario non ci si vede altro che esagerazioni e affettazioni e ricercatezze benché grossolane, e quella semplicità che v’è non è semplicità, ma fanciullaggine; cosí dite di certe canzoni volgari, ec. ec. che per un certo verso son semplici, ma mettete un poco quella semplicità con quella di Anacreonte che pare il non plus ultra, e vedete se vi pare che si possa pur chiamare semplicità. Onde il fine dell’arte che costoro riprovano, non è mica l’arte, ma la natura, e il sommo dell’arte è la naturalezza e il nasconder l’arte, che i principianti o gl’ignoranti non sanno nascondere, benché n’hanno pochissima, ma quella pochissima trasparisce, e tanto fa piú stomaco quanto è piú rozza; e i nove anni d’Orazio dei quali il Breme si fa beffe, non sono mica per accrescer gli artifizi del componimento, ma per diminuirli o meglio per celarli accrescendoli, e insomma per avvicinarsi sempre piú alla natura, che è il fine di tutti quegli studi e di quelle emendazioni ec. di cui il Breme si burla, di cui si burlano i romantici, contraddicendo a se stessi; che mentre  (21) bestemmiano l’arte e predicano la natura, non s’accorgono che la minor arte è minor natura.


*   Non solamente bisogna che il poeta imiti e dipinga a perfezione la natura, ma anche che la imiti e dipinga con naturalezza; anzi non imita la natura chi non la imita con naturalezza. Però Ovidio che senza naturalezza la dipinge, cioè va tanto dietro a quegli oggetti che finalmente ce li presenta e ce li fa anche vedere e toccare e sentire, ma dopo infinito stento suo (cosí che a lui bisogna una pagina per farci veder quello che Dante ci fa vedere in una terzina) e con una piú tosto pertinacia ch’efficacia; presto sazia, e inoltre non è molto piacevole, perché non sa nasconder l’arte, e con quel tanto aggirarsi intorno