Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/163

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(39-40) pensieri 137

esporla agli occhi del popolo, se la facessero di capriccio e senz’adattarsi alla forma usata crederebbero meritarsi le risa o il biasimo universale; se componessero un poema epico di forma differente da quella che si costuma da tutto il mondo stimano, e in certo modo con ragione, che dovrebbero essere ripresi d’aver barattati i nomi, non ricevendosi per poema epico se non quello che è in questa forma consueta. E cosí è in fatti; che, se uno intitola la sua opera tragedia, il pubblico si aspetta quello che si suole intendere per tragedia, e trovando cosa tutta differente se ne ride. Né senza ragione, perché il danno dell’età nostra è che la poesia si sia già ridotta ad arte, in maniera che per essere veramente originale bisogna rompere, violare, disprezzare, lasciare da parte intieramente i costumi e le abitudini e le nozioni di nomi di generi ec. ricevute da tutti: cosa difficile a fare, e dalla quale si astiene ragionevolmente anche il savio, perché le consuetudini vanno rispettate massimamente nelle cose fatte pel popolo, come sono le poesie, né va ingannato il pubblico con nomi falsi.  (40) E dare una nuova poesia senza nome affatto e che non possa averne dai generi conosciuti è ragionevole bensí, ma di un ardire difficile a trovarsi, e che anche ha infiniti ostacoli reali, e non solamente immaginari né pedanteschi. La 4a, e la piú forte e la piú considerabile: che, quando anche un bravo poeta voglia effettivamente astrarre da ogni idea ricevuta, da ogni forma, da ogni consuetudine, e si metta a immaginare una poesia tutta sua propria, senza nessun rispetto, difficilissimamente riesce ad essere veramente originale o almeno ad esserlo come gli antichi, perché a ogni momento anche senz’avvedersene, senza volerlo, sdegnandosene ancora, ricadrebbe in quelle forme, in quegli usi, in quelle parti, in quei mezzi, in quegli artifizi, in quelle immagini, in quei generi ec. ec.; come un riozzolo d’acqua che corra per