Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/192

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166 pensieri (57)

per una proprietà isolata, ma per un effetto semplicissimo e naturale e necessario della naturalezza, con cui nel descrivere imitare ec. lasciano le minuzie e l’enumerazione delle parti tanto familiare ai moderni, descrivendo solo il tutto con disinvoltura, e come chi narra non come chi vuole manifestamente dipingere, muovere ec. Nella stessa maniera Ovidio, il cui modo di dipingere è l’enumerare, come i moderni descrittivi sentimentali ec., non lascia quasi niente a fare al lettore; laddove Dante, che con due parole desta un’immagine, lascia molto a fare alla fantasia; ma dico fare, non già faticare, giacché ella spontaneamente concepisce quell’immagine e aggiunge quello che manca ai tratti del poeta, che son tali da richiamar quasi necessariamente l’idea del tutto. E cosí presso gli antichi in ogni genere di imitazione della natura.


*   I nostri veri idilli teocritei non sono né le egloghe del Sannazaro, né ec. ec., ma le poesie rusticali come la Nencia, Cecco da Varlungo ec., bellissimi e similissimi a quelli di Teocrito nella bella rozzezza e mirabile verità, se non in quanto sono piú burleschi di quelli, che pur di burlesco hanno molto spesso una tinta.


*   Circa le immaginazioni de’ fanciulli comparate alla poesia degli antichi, vedi la verissima osservazione di Werther sul fine della lettera 50. Una terza sorgente degli stessi diletti e delle stesse romanzesche idee sono i sogni.


*   Il principio universale dei vizi umani è l’amor proprio, in quanto si rivolge sopra lo stesso essere; delle virtú, lo stesso amore, in quanto si ripiega sopra altrui, sia sopra gli altri uomini, sia sopra la virtú, sia sopra Dio ec.


*   Di alcuni principi che si sieno uccisi per evitare qualche grande sventura o per non saperne sopportare