Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/224

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198 pensieri (88-89)

*    (88) «Je vous l’ai dit souvent, la douleur me tuerait; il y a trop de lutte en moi contre elle; il faut lui céder pour n’en pas mourir» dice Corinna presso la Staël, liv.14, ch. 3, t. II, p. 361 dell’edizione citata qui dietro. E da questo venìa che gli antichi, al carattere dei quali l’autrice ha voluto ravvicinare quello di Corinna quanto era compatibile coi costumi e la filosofia moderna, di cui l’arricchisce a piena mano, erano vinti dall’infelicità, in modo che esprimevano la loro disperazione cogli atti e le azioni piú terribili, e la sventura li mandava fuori di se stessi e gli uccideva. Quel se réposer sur sa douleur, quel piacere perfino provato dai moderni per la stessa sventura e per la considerazione di essere sventurato, era cosa ignota a quelli che, secondo l’istinto della natura non ancora del tutto alterata, correvano sempre dritto alla felicità, non come a un fantasma, ma cosa reale, e trovavano il loro diletto dove la natura primitivamente l’ha posto, cioè nella buona e non nella cattiva fortuna, la quale quando loro sopravvenniva la riguardavano come propria, non come universale e inevitabile. Né il desiderio della felicità era in essi temperato e rintuzzato e illanguidito da nessuna considerazione e da nessuna filosofia. Perciò tanto piú formidabile era l’effetto di quanto impediva loro l’adempimento di questo desiderio.


*   «Les habitans du Midi craignant beaucoup la mort, l’on s’étonne d’y trouver des institutions qui la rappellent à ce point; mais il est dans la nature d’aimer à se livrer à l’idée même de ce que l’on redoute. Il y a comme un énivrement de tristesse qui fait à l’âme le bien de la remplir tout entiére». Corinne, l. 10, ch. 1, t. II, p. 115, edizione citata qui dietro (89). A questo proposito si può notare quella indistinta e pur vera voglia che noi proviamo, avendo, per esempio, in mano una cosa fetente, di sentirne fuggitivamente l’odore.