Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/266

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238 pensieri (129-130)

originali, ancorché queste verità passino per nuove, non hanno altro di nuovo che l’aspetto, e sono già state esposte in altro modo (18 giugno 1820). E vedete come tutti gli scrittori non europei, come gli orientali, Confucio ec., quantunque dicano appresso a poco le stesse cose che i nostri, a ogni modo paiono originali, perché, non avendo letto i nostri filosofi europei, non hanno potuto imitarli o seguirli e conformarcisi non volendo, come accade a tutti noi.


*   Dei nostri poeti d’oggidí altri non sentono e non pensano, e cosí scrivono; altri sentono e pensano, ma non sanno dire quello che vorrebbero, e mettendosi a scrivere, per mancanza di arte, si trovano subito vòti, e di tutto quello che avevano in mente non trovano piú nulla, e volendo pure scrivere si danno al fraseggiare e all’epitetare e se la passano in luoghi comuni e cosí chiudono la poesia, perché una cosa nuova da dire gli spaventa, non sapendo trovare l’espressione che le corrisponda; altri finalmente, sentendo e pensando e non sapendo dir quello che vogliono, tuttavia lo vogliono dire; e questi sono ridicoli per lo stento, l’affettazione, la durezza, l’oscurità e la fanciullaggine della maniera, quando anche  (130) i sentimenti non fossero dispregevoli (21 giugno 1820).


*   In proposito di quello che ho detto, p. 96, osservate come ragionevolmente gli antichi usassero la musica e la danza nei conviti, e segnatamente dopo il pranzo, come dice Omero nel primo dell'Odissea e forse anche dove parla di Demodoco. L’uomo non è mai piú disposto che in quel punto ad essere infiammato dalla musica e dalla bellezza e da tutte le illusioni della vita.


*   A quello che ho detto, p. 128, aggiungi. Il giovane che entra nel mondo vuol diventarci qualche cosa.