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vita, mancando dell’interna. E per ciò in apparenza molto piú attivi degli altri popoli, ma in realtà, e se vince la naturale tendenza ed indole, torpidissimi.


     Gli orientali si possono, cred’io, mettere insieme coi meridionali in questo punto (7 febbraio 1821).


*    Lo scopo dei governi, siccome quello dell’uomo, è la felicità dei governati. Forse che la felicità e la diuturnità della vita, sono la stessa cosa? Hanno sempre che dire delle turbolenze e pericoli degli antichi stati, e pretendono che costassero all’umanità molto piú sangue e molte piú vite, che non costano i governi ordinati e regolari e monarchici, ancorché guerrieri, ancorché tirannici. Sia pure; che ora non voglio contrastarlo.  (626) Orsú, ragguagliamo le partite, dirò cosí, delle vite. Poniamo che negli stati presenti, che si chiamano ordinati e quieti, la gente viva, un uomo per l’altro, settanta anni l’uno: negli antichi, che si chiamano disordinati e turbolenti, vivessero cinquanta soli anni, a distribuir tutta la somma delle vite ugualmente fra ciascheduno; e che quei settanta anni sieno tutti pieni di noia e di miseria in qualsivoglia condizione individuale, che cosí pur troppo accade oggidí; quei cinquanta pieni di attività e varietà, ch’è il solo mezzo di felicità per l’uomo sociale. Domando io, quale dei due stati è il migliore? quale dei due corrisponde meglio allo scopo, che è la felicità pubblica e privata, insomma la felicità possibile degli uomini come uomini? cioè felicità relativa e reale e adattata e realizzabile in natura, tal qual ella è, non riposta nelle chimeriche e assolute idee, di ordine e perfezione matematica. Oltracciò domando: la somma vera della vita, dov’è maggiore? in quello stato dove ancorché gli uomini vivessero cent’anni l’uno, quella vita monotona e inattiva sarebbe, com’è realmente, esistenza, ma non vita,  (627) anzi, nel fatto, un sinonimo di morte? ovvero in quello stato, dove l’esi-