Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/149

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136 pensieri (693-694-695)

lità derivavano in quei padri da merito loro, né essi ponevano (eccetto pochissimi) veruno studio alla bellezza e all’ordine della lingua. Nel modo che Omero certamente non sudava per seguire e praticare le regole del poema epico, le quali non esistevano, anzi sono derivate dal suo poema, e quella maniera ch’egli ha tenuto è poi divenuta regola. Ma Omero come ingegno sovrano ch’egli era, studiava la natura e gli uomini e il bello per creare le regole che ancora non esistevano; laddove i trecentisti erano quasi tutti uomini da poco e ignorantissimi e scrivevano quello che veniva loro nella  (694) penna. E quanto è venuto loro nella penna, tanto si è giudicato che fosse il piú bel fiore della nostra lingua, non dico ingiustamente, ma certo senza merito loro. Vedi p. 705. Aggiungete che fuori de’ Toscani, pochissimi in quel secolo scrivevano la lingua nostra in modo che si potesse sopportare, all’opposto del cinquecento dove tutta l’Italia scriveva correttamente e leggiadramente; cosí che il trecento, quando anche non valessero le suddette ragioni, non si potrebbe riputare il migliore della nostra lingua, né paragonare al cinquecento se non quanto alla toscana.

Quanto alla letteratura, nessuno disconviene da quello ch’io dico, perché il trecento ebbe tre o quattro letterati famosi, ma nel resto ebbe non letteratura ma ignoranza. Quello però ch’io dico, sarebbe molto piú riconosciuto in Italia e fuori e si giudicherebbe meglio e con maggiore convincimento, quanto sia vero che il cinquecento  (695) sia l’ottimo ed aureo secolo della letteratura italiana, anzi in questo pregio superi non solo tutti gli altri secoli italiani, ma anche tutti i migliori secoli delle letterature straniere, se si ponesse mente a questo ch’io son per dire.

Primieramente la stessa universalità che ho notata in quel secolo rispetto alla buona lingua, si deve anche notare rispetto al buono stile, e ciò in tutti i