Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/167

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154 pensieri (728-729-730)

di Omero, viviamo in quello stesso modo, ignoriamo quello che allora s’ignorava, proviamoci a quelle fatiche, a quegli esercizii corporali che si usavano in quei tempi. E se tutto questo ci è impossibile, impariamo che insieme colla vita e col corpo è cambiato anche l’animo e che la mutazione di questo è un effetto necessario, perpetuo e immancabile della mutazione di quelli. Diranno che gl’italiani sono per clima e natura piú immaginosi delle altre nazioni e che perciò la facoltà creatrice della immaginativa, ancorché quasi spenta negli altri, vive in loro. Vorrei che cosí fosse, come sento in me dalla fanciullezza e dalla prima giovanezza in poi, e vedo negli  (729) altri, anche ne’ poeti piú riputati, che questo non è vero. Se anche gli stranieri l’affermano, o s’ingannano, come in cose lontane e come il lontano suol parere bellissimo o notabilissimo, ovvero intendono solamente di parlare in proporzione degli altri popoli non mai né assolutamente né in comparazione degli antichi, perché anche l’immaginativa italiana, in vigore dell’andamento universale delle cose umane, è illanguidita e spossata in maniera, che per quel che spetta al creare non ha quasi piú se non quella disposizione che gli deriva dalla volontà e dal comando dell’uomo, non da sua propria ed intrinseca virtú ed inclinazione.

Ma la vera causa per cui gl’italiani, a differenza di tutti gli altri, non conoscono oggidí altra poesia che la immaginativa, e della sentimentale sono affatto digiuni, ve la dirò io. In quest’ozio, in  (730) questa noia, in questa frivolezza di occupazioni o piuttosto dissipazioni, senza scopo, senza vita, insomma senza né patria né guerre né carriere civili o letterarie né altro oggetto di azioni o di pensieri costanti, l’italiano non è capace di sentir nulla profondamente, né difatto egli sente nulla. Tutto il mondo essendo filosofo, anche l’italiano ha tanto di filosofia che basta