Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/226

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(836-837) pensieri 213

cadendo il tale e tale altro caso, o non accadendo in quel tal modo ec. ec., o accadendo bensí quello ma non questo ec., la specie umana, la maggiore delle sue opere, restasse imperfetta e infelice e priva del fine della sua esistenza; e similmente tutte quelle parti dell’ordine delle cose che dipendono o hanno stretta connessione colla specie umana.

Bisogna osservare che la sfera del caso si stende molto piú che non si crede. Un’invenzione venuta dall’ingegno e meditazione di un uomo profondo non si considera come accidentale. Ma quante circostanze accidentalissime sono bisognate perché quell’uomo arrivasse a quella capacità? Circostanze relative alla coltura dell’ingegno suo; relative alla nascita, agli studi, ai mezzi estrinseci d’infiniti generi, che colla loro combinazione l’han fatto tale, e mancando lo avrebbero reso diversissimo (onde è stato detto che l’uomo è opera del caso); relative alle scoperte e cognizioni acquistate da altri prima  (837) di lui, acquistate colle medesime accidentalità, ma senza le quali egli non sarebbe giunto a quel fine; relative all’applicazione determinata della sua mente a quel tale individuato oggetto ec. ec. ec. Nello stessissimo modo discorrete di una scoperta fatta per esempio mediante un viaggio, mediante un’accademia, una intrapresa pubblica o regia ec., la quale scoperta si suol mettere del tutto fuori della sfera degli accidenti. E vedrete che siccome da una parte la sfera del caso in tutte le cose, massime umane, si stende assai piú che non si crede, cosí d’altra parte, o tutte o il piú di quelle invenzioni ec., che ora sono d’uso creduto di prima necessità ed essenziale alla vita umana, sono effettivamente dovute al caso. Paragonate ora questa incredibile negligenza della natura, nell’abbandonare a un mezzo sí incerto lo scopo primario della primaria specie di viventi, cioè la felicità dell’uomo, con quella certezza e immancabilità di mezzi che la natura ha adoperata