Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/230

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(843-844-845) pensieri 217

cora, piú o meno, e non barbaro, come oggidí, che volendo scrivere come si parla non si scriverebbe italiano, anzi appena si riuscirebbe a farsi intendere alla stessa nazione. Ed allora lo studio della lingua era piú diffuso e la letteratura parimente, e piú viva e in movimento; e maggiore il numero dei letterati di professione e degli scrittori buoni e di quelli che, senza esser letterati, aveano tanta letteratura quanta basta per essere buon lettore e per curarsi di leggere. E gli argomenti che si trattavano erano piú nazionali, piú importanti, piú nuovi,  (844) piú propri dello scrittore ec.: brevemente, c’era un altro spirito letterario e negli scrittori e nella nazione.

Dall’applicazione di questi principii alle lingue moderne passiamo alle lingue antiche. Che la forma e struttura di una lingua fosse cosí ragionevole, cosí conforme alla stretta verità ed ordine delle cose, come lo può essere in qualche lingua moderna, non era possibile fra gli antichi, dove regnava molto piú l’immaginazione, che la secca e infelice ragione. Non bisogna dunque nelle ragioni della universalità di una lingua antica ricercar troppa conformità con quelle, che richiedonsi allo stesso effetto in una lingua moderna. Una lingua antica poteva essere adattata alla universalità fino a un certo segno e conseguirla, ma non mai quanto una moderna. La lingua greca, sebbene piú figurata, non solo della francese, ma della italiana (dico della italiana che non pecchi di troppa e a lei non naturale conformità col latino andamento, come peccò alle volte nel cinquecento, al contrario  (845) del trecento e della sua vera indole), contuttociò era nella sua primitiva qualità di una forma, se non ragionevole, naturalissima però e semplicissima e facilissima. Sino a tanto ch’ella mantenne il suo vero genio, mantenne anche queste proprietà. Le mantenne in Erodoto, in Senofonte, negli oratori attici e generalmente piú o meno in tutti gli scrittori degli ottimi suoi secoli, sem-