Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/251

Da Wikisource.
238 pensieri (881-882-883)

gli ebrei conservano, e con ragione e congruenza, questa opinione, che non sia peccato l’ingannare o far male comunque all’esterno, che chiamano, e specialmente il cristiano, Goi (גוי)  (882) ossia gentile e che presso loro suona lo stesso che ai greci barbaro (vedi il Zanolini, il quale dice che, nel plurale però si deve intendere, chiamano oggi i cristiani גוים Gojim), riputando peccato solamente il far male a’ loro nazionali.

E con queste osservazioni si deve spiegare una cosa che può far maraviglia nella Ciropedia, dove Senofonte vuol dare certamente il modello del buon re, piuttosto che un’esatta istoria di Ciro. E nondimeno questo buon re, dopo conquistato l’impero assirio, diventa modello e maestro della piú fina, fredda, e cupa tirannide. Ma bisogna notare che questo è verso gli assiri, laddove verso i suoi persiani Senofonte lo fa sempre umanissimo e liberalissimo. Ma egli stima che sia tanto da buon re l’opprimere lo straniero e l’assicurarsi in tutti i modi della sua soggezione, come il conservare una giusta libertà a’ nazionali. Senza la qual distinzione e osservazione, si potrebbe quasi confondere Senofonte con Machiavello, e prendere un grosso abbaglio intorno alla sua vera intenzione e all’idea ch’egli ebbe del buon principe. Nel qual proposito osserverò che la regola e il metodo di Ciro (o di Senofonte) di preferire in tutto e per tutto i persiani ai nuovi sudditi e dichiarare per tutti i versi quella  (883) nazion dominante e queste soggette e dipendenti, non fu seguito da Alessandro, il quale anzi, a costo d’inimicarsi i Macedoni, pare che tra’ suoi sudditi di qualunque nazione volesse stabilire una perfetta uguaglianza e quasi preferir fino i conquistati adottando le vesti e le usanze loro. Il suo scopo fu certo quello di conservarli piuttosto coll’amore che col timore e colla forza: e non li stimò schiavi, secondo il costume di quei tempi, ma sudditi. E quanto