Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/414

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(1096-1097) pensieri 401

vano punto che fare colla Palestina o con altri paesi, dove la lingua greca volgare fosse guasta da mescolanza di ebraico o d’altro dialetto propagato fra’ giudei ec., non erano giudei di stirpe ec. ec. Ma erano stranieri di setta e quindi anche barbari di gusto. Lascio la traduzione dei Settanta e il Nuovo Testamento. Le stesse cause di corruzione influirono pure sulla lingua e sullo stile de’ padri latini. Ma da queste, com’è naturale, si preservarono gli scrittori profani contemporanei, sí greci che latini, e non pochi degli stessi scrittori cristiani, o trattando materie profane o anche piú volte nelle stesse materie ecclesiastiche, secondo la coltura, gli studi e l’eleganza degli scrittori (27 maggio 1821).


*    Non si stimino esagerazioni le lodi ch’io fo dello stato antico e delle antiche repubbliche. So bene ancor io com’erano soggette a molte calamità, molti dolori, molti mali: inconvenienti inevitabili nello stesso sistema magistrale della natura; quanto piú negli ordini che finalmente sono, piú o meno, opera umana! Ma il mio argomento consiste nella proporzione e nel paragone della felicità, o, se vogliamo,  (1097) infelicità degli uomini antichi con quella de’ moderni, nel bilancio e nell’analisi della massa de’ beni e de’ mali presso gli uni e presso gli altri. Converrò che l’uomo, specialmente uscito dei limiti della natura primitiva, non sia stato mai capace di piena felicità, sia anche stato sempre infelice. Ma l’opinione comune è quella della indefinita perfettibilità dell’uomo, e che quindi egli sia tanto piú felice o meno infelice quanto piú s’allontana dalla natura; per conseguenza, che l’infelicità moderna sia minore dell’antica. Io dimostro che l’uomo, essendo perfetto in natura, quanto piú s’allontana da lei piú cresce l’infelicità sua; dimostro che la perfettibilità dello stato sociale è definitissima, e benché nessuno stato sociale possa farci felici, tanto