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(561-562-563) pensieri 63

ciale e solitario o in quella prima infanzia della società, dov’ella è piuttosto un’adunanza materiale d’uomini che una società.

Riprendendo il filo del discorso: coll’influenza, la forza, la vividità, l’osservanza della natura, era finita la perfezione e l’utilità dell’assoluta monarchia; coll’assoluta monarchia era finito lo stato vero ed essenziale della società. Lungi dunque dalla natura e lungi dall’essenza di se stessa, la società non poteva esser piú felice. Né vi poteva piú esser governo perfetto, non solo perché l’uomo era allontanato dalla natura, fuor della  (562) quale non v’è perfezione in qualunque stato; ma anche e principalmente perché quel solo governo che potesse da principio esser perfetto, perché il solo conveniente all’essenza della società, era da circostanze irrimediabili e perpetue escluso per sempre dalla perfezione; ed anche, presso questo o quel popolo, escluso effettivamente ed intieramente dalla società.

La natura, sola fonte possibile di felicità anche all’uomo sociale, è sparita. Ecco l’arte, la ragione, la meditazione, il sapere, la filosofia si fanno avanti per supplire all’assenza o corruzione della natura, rimediarci, sostituire i loro (pretesi) mezzi di felicità ai mezzi della natura, occupare insomma il luogo da cui la natura era cacciata e far le di lei veci, condurre l’uomo cioè a quella felicità a cui la natura lo conduceva. Quante forme di governo non sono state ideate! quante messe in pratica! quanti sogni, quante chimere, quante utopie ne’ pensieri de’ filosofi! certo essi erravano ne’ principii, giacché pretendevano d’immaginare un governo perfetto e  (563) (lasciando tutto il resto, lasciando le assurdità e impossibilità nell’applicazione delle loro teoriche al fatto) la perfezione possibile del governo non è altra che quella che ho detta; perfezione semplicissima e che non ha bisogno di studi, meditazioni, esperienze, com-