Pensieri e discorsi/L'Avvento/IV

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IV.


E i proletari del mondo ripeterono:

Noi non vogliamo pietà, vogliamo giustizia!

E primamente cacciarono da sè i loro maestri e apostoli dicendo: — Noi non vogliamo pietà!

Chi siete voi? Voi siete degli altri! Voi dite parole giuste, ma sono elleno anche nel vostro cuore o solo nelle vostre labbra?

A ogni modo, anche se voi sentite quel che dite, noi non vogliamo pietà! Andatevene. —

E i maestri cominciarono ad andarsene.

E presto non vi furono altri proletari che i proletari.

E il genere umano era diviso in due generi... non umani, che si guardavano male.

Ogni tanto qualcuno del genere meglio vestito passava all’altro, e poichè non era certo ispirato dalla pietà, egli era certo dei peggiori di esso; e qualcuno dell’altro genere passava al primo; e questo era dei più valenti se non dei più fedeli.

Dalle due grandi classi si elevavano continuamente le vecchie querele: somigliavano a quelle che in tempi già remoti erano poste, come si diceva, sul tappeto da due nazioni che volessero venire alla prova delle armi.

Querele che erano poi sopraffatte dal fragore delle battaglie e dai gemiti dei feriti; e che, finita la guerra, risorgevano più maligne che mai a [p. 239 modifica]preparare la guerra che di regola nasceva dalla guerra, e che si chiamava la rivincita.

Già da tempo il contadino non salutava più il proprietario: la cosa era sembrata bella agli apostoli scacciati.

Già da tempo gli operai delle officine passavano col berretto in capo avanti l’industriale: la cosa era sembrata magnifica ai maestri ripudiati.

Eppure si era sempre dagli apostoli e maestri e poi dai discepoli predicato, che non gli uomini erano in colpa, sì il sistema. A che dunque l’odio?

Eppure! Eppure! Qualche vecchio contadino si ricordava che aveva amato i figli del padrone che ruzzavano coi suoi! Qualche vecchio operaio si ricordava d’aver tenuto in collo quel grande industriale, quand’era piccino!

I vecchi tentennavano il grigio capo.

“Non sarebbe meglio accomodarsi?„ brontolavano.

“No„ replicavano irosi i giovani “no e no: essi ci derubavano, perchè noi siamo le braccia che fanno la ricchezza; e la ricchezza se la prendevano e prendono loro„.

“Ma„ rispondeva timidamente qualche vecchione che ricordava la favoletta di Menenio Agrippa “se noi siamo le braccia, siano essi lo stomaco, o forse, almeno qualche volta, la testa, voi sapete che un corpo può vivere senza braccia, ma senza testa o anche senza stomaco, no„.

“No: vedrete, o nonno, che non può vivere nemmeno senza braccia„.

Così per un pezzo stettero l’un contro l’altro, i due generi inumani: i bambini piangevano dall’una [p. 240 modifica]parte e dall’altra; dall’una parte e dall’altra i giovani si nutrivano d’odio.

I ricchi non avevan già più chi li servisse: fortunate quelle signore che avevano imparato a fare il bucato e la cucina!

I poveri non avevano più scuole, dove mandare i figli, non ospedali, dove essere curati nei loro morbi, non asili per l’infanzia, non ricoveri per la vecchiezza.

L’odio aveva avvelenato tutti i cuori: tutti gli occhi avevano lo sguardo bieco del bandito e del prigioniero.

Sino allora restava anche una terza classe: la classe degli armati: nè mai essi avevano sentito battere tanto di fierezza il cuore: istituiti per la guerra, essi mantenevano la pace.

Ma una pace torbida, inquieta, piena di ululi soffocati.

Finalmente anche quella classe di mezzo sparì, e si fuse parte di qua e parte di là.

E un giorno cessò ogni fragor di macchine, ogni grido d’aratore, ogni strepito di martello. Tutto era chiuso e tacito. La pietà era da un pezzo estinta: s’estinse il lavoro.

E allora venne la guerra: i due generi disumani si avanzarono l’uno contro l’altro con tutte le armi dell’odio...

Avevano due grandi bandiere.

Nell’una e nell’altra si leggeva la stessa parola: giustizia!

Ma perchè continuare nella lugubre lettura? Cerchiamo d’ignorare il rimanente: Chi vinse? fu pace poi? il sangue non fermentò? fu poi uguaglianza? [p. 241 modifica]e se fu, l’ingegno umano non si avvizzì? non diventò sterile? nel grande opificio l’uomo non sospirò la libertà? O tutto tornò come prima? non ci furono, di cambiati, che le persone dei proprietari; e tutti i cuori? e infine, nei secoli dei secoli, non si oscurò e raffreddò per sempre il sole, non lasciando sopravvivere sulla terra, divenuta un sepolcreto enorme, nemmen la memoria di quel genere d’animali, che con tanta intelligenza non aveva saputo assettare la sua vita comune, nè come le api e le formiche, che vivono in pace e fratellanza nelle loro arnie e nelle loro caverne, nè come i leoni e le tigri che di tutto fan preda fuorchè di leoni e di tigri, nè come le iene che mangiano tutto quel che trovano, ma lasciano vivere i vivi?