Pensieri e discorsi/L'Eroe italico/VIII

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VIII.


Queste e altre voci vi risuonano nel cuore, o giovani, ora, nella vostra giovinezza docile e nobile. E voi siete commossi or dall’una or dall’altra, se non da tutte. Lo so, perchè lo provai; e lo provo ancora e ne soffro. La ragione via via mi dice, per esempio: Se tu odii la guerra, perchè ti commovi al passaggio d’un reggimento che scintilla d’armi omicide e va d’un sol passo e ha un cuore solo? E se vuoi gloria per quella bandiera lacera, che passa, come pretendi giustizia per i lavoratori più laceri ancora? Se vuoi la fratellanza delle nazioni, perchè sospiri d’amore geloso per la tua nazione? Se vuoi rotte le barriere tra popolo e popolo, come mai pendi con l’anima dalle sentinelle dell’Alpi che vegliano in armi alle porte della patria?

Oh! dico io: Te felice, o scomunicato dal sinodo e sorvegliato dalla polizia, romito lavoratore, Leone Tolstoi! Te felice; nè solo perchè tanto alto è di te [p. 211 modifica]l’ingegno, e l’opera così efficace e così pura la gloria; ma specialmente perchè tu puoi liberamente assecondare la tua coscienza animosa e veggente, e guerreggiare contro la guerra! Tu puoi vedere e detestare in ogni cosacco della tua nazione un futuro incosciente omicida, e ritrarre l’occhio offeso e il cuore ribelle dalle grandi squadre armate, che passano respirando la strage futura, come immense bande di masnadieri! Tu così puoi giudicare e sentire, perchè nessuno e nulla minaccia la grande Russia, ed ella può scegliere tra l’odio e l’amore, tra la pace e la guerra; ed ella sceglie quello che è così atroce scegliere!

Quanta differenza fra te e il barbaro poeta del sangue che solletica e fa ruggire la belva immane che sta accovacciata nell’altro grande impero, che aveva la fulgida e limpida gloria d’aiutare tutti i popoli, ed ora aspira all’altra sanguinosa di turbarli tutti; e nel tempo stesso manda più di dugento mila uomini contro una piccola nazione di agricoltori e pastori, e prepara l’abolizione della nostra lingua in un’isola che da solo un secolo è dell’Inghilterra, mentre questa lingua risuona, forte e soave, più forte e soave che mai, in Trieste, dopo quattro secoli che vi domina l’Austria! O Garibaldi, nostro eroe, che amavi tanto l’Inghilterra, per poco meglio che una mezz’ora di rispitto a Marsala, dillo tu, se è giusto! La tua camicia rossa non si vide laggiù, sul Vaal e sull’Orange, ella che è stata veduta per tutto, in America e in Europa, in Francia di rincontro alla Germania, in Polonia contro i Russi, in Creta, in Erzegovina e in Tessaglia contro i Turchi; non c’è divisione etnica in Europa, i cui militi non abbiano [p. 212 modifica]veduto contro sè queste eroiche schiere, e non abbiano, nella battaglia, udite le voci eroiche della nostra lingua; nè Latini, nè Tedeschi, nè Slavi, nè Finni; e no, gli Anglosassoni, non hanno sentito, nella nostra lingua, che parole amiche; e le camicie rosse non sono accorse là dove galoppava il Garibaldi boero, rifatto nell’Africa mandriano come era nelle Pampe d’America; e ora proprio l’Inghilterra vuol cancellare da un’isola italiana i segni della sua italianità, e sommuovere col piede il termine nazionale — che noi non coronavamo di memori fiori — ? Ma noi porremo, invece dell’umile termine ammuffito e corroso, noi porremo la statua di Dante anche là; come a Trento. Porremo anche là Dante, come a Trento, perchè tenga il posto finchè non ci vada, nei secoli o negli anni, tu, o Garibaldi! E intanto la lingua si purgherà delle traccie arabe, che offesero il delicato orecchio di Chamberlain... Del resto c’è dell’arabo anche nel vostro linguaggio, o messinesi. Messinesi, bombardati dai Borboni, messinesi elettori di Mazzini, non siete voi italiani?