Pensieri e discorsi/La ginestra/VIII

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VIII.


O Tristano! Tristano! E tu dunque avrai avuto per tua parte il cuore così nobile, l’intelletto così alto, e così singolare di sventura il destino, senza utile nostro, di noi, che siamo tuoi fratelli in dolore? Abbomini la politica, ridi della felicità delle masse: colpa della natura, ripeti. Non c’è dunque nulla da fare? Non c’è più che da guardare stupidamente in viso questa ridicola esistenza? Vano cercare, come la panacea, così il farmaco che faccia obliare, sia pure per brevi momenti, il dolore e l’ira? che li attenui almeno? Sei tu davvero, ripeto, così morto spiritualmente? Sei tu già davvero di là e come l’Aiace omerico, insensibile alle dolci parole, silenzioso e [p. 98 modifica]irato, te ne andrai “tra le altre anime verso l’Erebo dei morti„? —

Questo io imagino si potesse dire al poeta di Recanati, quando de’ suoi canti erano noti quelli dell’edizione del 1835, insieme con le operette morali. Dopo quell’anno egli fu sulla terra altri due anni appena. Non avrebbe dunque risposto all’interrogatore?

Rispose.

Dopo la sua morte, ott’anni dopo, comparvero altre due poesie di lui: il Tramonto della luna e la Ginestra. Fu come se il poeta del dolore e della morte parlasse d’oltre tomba. E in vero sono due canti che hanno della tomba la risonanza solenne, la efficacia persuasiva. Sembrano due supreme testimonianze.

Egli lontanò, per così dire, tra una luce pallida, cui sottentrò il buio eterno. Il paese illuminato dalla luna, già al confine del cielo, era ridente, variato di vaghe ombre. Ma la luna tramontò. Tutto divenne oscuro.

Risuona un canto mesto di saluto all’ultimo raggio. Il viatore è rimasto senza più guida. Così nella vita umana, quando è finita la giovinezza. Gl’inganni, i dolci errori, le speranze che si appuntano in un remoto avvenire, rientrano nell’oscurità. La quale oscurità non sarà mai vinta dall’aurora. Ancora un po’ di notte, poi la tomba. Quali sono quelle lontane speranze? quale l’altra luce e l’altra aurora che è vano sperare dopo il tramonto della giovinezza?

Si allude, forse, a ciò che nell’Amore e Morte già disse: [p. 99 modifica]

Ogni vana speranza onde consola
coi fanciulli il mondo,
Ogni conforto stolto.

Il canto che salutava

Con mesta melodia
L’estremo albor della fuggente luce.

è un canto di disperazione. D’oltre tomba il Poeta sembra reiterare le lugubri parole: “Vanità! vanità! Nella vita umama non c’è di buono che la giovinezza, ed anche in essa il bene non è che l’aspettazione del bene o la interruzione del male. Sparita la giovinezza, in cui non sono pur se non ombre e sembianze al lume della luna, non aspettatevi, o uomini, che sorga l’alba dall’altra parte.

Ombra, inganno, sogno, o uomini la vostra speranza di rivivere morendo! La morte è„.