Pensieri e discorsi/La messa d'oro/III

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III.


Perchè colui che celebrerà questa messa d’oro, dopo cinquanta anni di sante preghiere e buone opere, è il buon vescovo confessore d’Italia, Geremia Bonomelli.

Io imagino d’entrare nella chiesa. E amo di figurarmi, contro, forse, verità, una chiesa campestre e umile di villaggio; di Nigoline, forse, suo villaggio nativo: tutta odorata di spigo e di garofani. Là, io penso, si deve compiere il dolce rito anniversario... Ma, sul vestibolo, alcuni, ossuti, mi sembra, e tetri, che nascondono con le nere persone il lucciolìo, là dentro, dell’altare, mi fermano e mi chiedono: “Che vieni a far qui tu? Credi tu?... Speri tu?... „

Io abbasso tristamente gli occhi, cercando in fondo al cuore una risposta; e poi alzo gli occhi e il mento, e interrogo io:

“E voi credete? E voi sperate? Il rapido che risulta da un vostro cenno sdegnoso, m’empie di confusione. Voi in vero credete e sperate anche meno di me, pur presumendo molto più. Al posto delle due luminose virtù, voi avete la cieca superbia, voi che dovreste essere imitatori del Dio che discese e si umiliò. Perchè voi mostrate di non ricordare che virtù sono codeste fede e speranza che vi arrogate con tanta semplicità; e superbia è arrogarsi le virtù, quali unque siano; che se sono poi virtù difficili, laboriose, eroiche, attribuirsele con un gesto di spregio, è orgogllio di Satana impazzito. — Se siamo eroi?! Eccome! Perfetti, siamo, sicut dii; e non solo sappiamo il bene e il male, ma non facciamo il male [p. 285 modifica]mai, e il bene facciamo sempre. E senza fatica. Chi potrebbe, in vero, avanti tale sostanza di cose sperate, preferire le vane e fuggevoli parvenze di quaggiù? Per noi questa peregrinazione di prova è senza pericoli e senza timori; questo esilio nella valle delle lagrime, noi lo dormiamo tutto sognando d’essere in patria. All’ultimo, Gesù, il Dio in procinto di svincolarsi dalla umanità e riprendere la divinità, mormorava: Passi da me codesto calice! Noi, più certi e più forti e più Dio di lui, diremo: Qua il calice della morte, che io vi beva l’immortalità! — Questo è compreso nel vostro che nemmeno avete proferito!„

Ed essi rispondono:

“Per essere cristiani, bisogna avere quella fede e quella speranza. Le hai tu?„

E io rispondo:

“Voi non richiedete in me ciò che importa più! In tutti, e sempre, voi richiedete quello che importa meno! Voi non cominciate dal principio! Voi non andate alla sorgente! Voi giudicate che un fiume è, da un poco d’acqua limacciosa e verdastra che vedete luccicare al sole; e non vi cale che ella non venga, no, da una pura polla perenne, e che ella generi i sonnolenti miasmi e le stridule zanzare mortifere! È uno stagnare dell’anima, codesto; non un correre vivo e fecondo al suo mare! Il principio, il fonte, la virtù precipua è la carità, l’agàpe, l’amore! Lo dice l’apostolo delle genti, Paolo di Tarso: Fede, speranza, carità: son tre; ma la maggiore è la carità (ad Cor. XIII 13). Date retta a colui che diceva la verità in Christo, e non mentiva, avendo il testimone della sua coscienza (ad Rom. IX 1).

Egli diceva in vero con sue alate parole: — Se [p. 286 modifica]parlo con le lingue e degli uomini e degli angeli, ma non ho l’agàpe, io sono bronzo che squilla o cembalo che tintinna. E se ho la profezia, e conosco tutti i misteri e tutta la scienza, e se ho tutta la fede, sì da tramutare i monti, ma non ho l’agàpe, nulla io sono... L’agàpe (egli continua) tutto soffre, tutto crede, tutto spera... —

Voi dovete, o severi custodi dell’adito cristiano, guardare in me e in tutti, se c’è questo divino segno di redenzione: l’amore.

Il resto è incluso„.